EDITORIALE – È il 1982. I Clash stanno lavorando all’album Combat Rock. Il manager Bernie Rhodes ha appena finito di ascoltare un brano lunghissimo e commenta: “ma deve essere tutto lungo come questa raga indiana?” ( i raga indiani sono i classici pezzi melodici esportati dall’India). Joe Strummer si illumina. Poche ore dopo nascono di getto queste parole: Now the King told the boogie men, You have to let that raga drop, ( Il Re ha detto all’uomo nero, “devi lasciar perdere quel raggae”). Raga diventa la contrazione di raggae, la musica più amata dai Clash.
Per chi ancora non lo avesse riconosciuto, si tratta del primo verso di Rock The Casbah, musica di Topper Headon (caso molto raro), e testo di Strummer, che dopo lo spunto iniziale si lancia in una parodia dell’Ayatollah Khomeini, che aveva bandito la musica rock in Iran.
Nella canzone c’è un Re, che ordina di bombardare chi si permette di violare il divieto, mentre i piloti decidono invece di bombardare di rock la casbah (tipica fortezza araba). Il brano diventerà l’inno delle truppe americane durante la guerra del Golfo del 1991 e la primissima canzone trasmessa dalla radio delle forze armate dall’inizio della guerra.
Nel documentario Joe Strummer, the Future Is Unwritten, un uomo di Granada, amico del leader dei Clash, giura di aver visto Joe piangere dopo aver saputo che le parole di Rock The Casbah erano state scritte su una bomba esplosa in Iraq nel ’91. “Non avrei mai potuto immaginare”, avrebbe detto Strummer tra le lacrime, “che una mia canzone potesse finire su una bomba”.
Combat Rock, che ha compiuto quarantuno anni ieri, 14 maggio, è l’ultimo disco pubblicato dai Clash prima dell’allontanamento di Mick Jones e Topper Headon. Inizialmente, secondo il progetto di Jones, l’album sarebbe dovuto essere un doppio e intitolarsi Rat Patrol From Fort Bragg, ma il resto della band si oppose e affidò il disco al produttore Glyn Jones, che iniziò il suo lavoro con il lancio proprio di Rock The Casbah e cambio il nome del disco in Combat Rock.
Know Your Rights“! Conosci i tuoi diritti! E’ così che inizia il quinto album dei The Clash. Il messaggio che arriva è sovversivo. La protesta che volevasi condurre a partire dalle più intricate e povere strade di Londra di Candem Town fino ad arrivare alle piazze affollate di borghesia ricca e impettita è impressa direttamente nella copertina dell’album: la band che, ferma sui binari, con disinvoltura e decisione al contempo, vuole come porre un blocco al treno dell’ipocrisia, della frenesia e del continuo mutamento del mondo sempre più crudele e corrotto che andava via via infettando la città. You have the right not to be killed, i Clash insistono su come la guerra sia uno sbaglio. Strummer urla che quello che fu commesso anni prima non è giustificabile, sia nelle Farkland che in ogni parte del mondo.
I Clash conducono però la loro protesta anche cantando fatti di vita quotidiana, perchè è anche questo ciò che attira le persone più umili e che più si sentono parte alla rivolta che, anche a loro insaputa, fermenta in realtà nei loro animi. Should I Stay Or Should I Go? La si potrebbe infatti definire il capolavoro dell’album che, a primo impatto, si presenta come riferimento all’individuo femminile e come un momento cruciale di fronte a questa, ma nel momento in cui Joe Strummer insieme con Mick Jones cantano queste parole di fronte a una Londra grigia e fumante, ecco emergere in realtà un ultimo appello alla speranza, quasi come dire: “città amata posso contare su di te e rimanere, o è veramente giunta l’ora di andare?”, ma se rimango sembra essere tutto un casino e se me ne vado probabilmente sarà ancora peggio..
Si arriva a Ghetto Defendant, pezzo in cui i Clash si danno al reggae, dando idea di duttilità e sperimentazione che anche nel punk può esserci. Bella l’idea della voce che interviene ogni tanto e dell’armonica, che contribuiscono a rendere questa canzone molto originale e per nulla scontata. Il pezzo vede la partecipazione di Allen Ginsberg.
Inoculated City, ricorda abbastanza i vecchi Clash. Carina, ma niente di particolare, i soliti cori e ritmi tipici della band, bella ma niente di nuovo.
Giungiamo così all’ultima traccia, Death Is A Star, pezzo melodico veramente bello, a sentirlo così, chi direbbe che sono i Clash? Oggi verrebbe etichettato come indie rock, prog rock o cose del genere… e invece sono loro, i Clash, che nell’82 rivisitano il punk passando per rock’n’roll, blues e reggae, senza mai perdere credibilità e senza divagare o vendere il loro sound a ritmi più o meno commerciali di quello che è il loro modo di fare musica.
Combat Rock è un disco evolutivo. È la giusta rappresentazione del post-punk degli anni Ottanta.
Un periodo musicale stava finendo e un altro stava iniziando, quello della new wave, della british invasion.
I Clash questo l’avevano capito e Combat Rock era l’album perfetto per questa mutazione.