#TellMeRock, i quarantuno anni di Under a Blood red Sky, il primo grande live degli U2

EDITORIALE – Non c’è niente in grado di dimostrare meglio il potere ipnotico di questa band irlandese che un loro concerto, e questo mini album di otto tracce, prese dal loro ultimo tour, mostra chiaramente perché la gente abbia eletto gli U2 “la miglior band live del 1983”.

Under a Blood Red Sky, quarantuno anni compiuti lo scorso 21 novembre, è il punto esclamativo, il mattone finale, dopo la trilogia iniziale degli U2. Dischi vivi, sentiti, fisici e nello stesso tempo spirituali, album che hanno segnato il passaggio dall’infanzia all’età  adulta. E’ il momento di guardarsi allo specchio e di vedere quale volto e quali cicatrici ha lasciato questo trittico meraviglioso.

Il produttore Jimmy Iovine assieme al suo ingegnere del suono Shelly Yakus, hanno attenuato il suono distorto del mix chitarra-batteria così come prodotto dal precedente fonico della band, Steve Lyllywhite, senza tuttavia in alcun modo sacrificare l’energia di puro rock & roll e gli attacchi graffianti che hanno reso famosi gli U2.

L’approccio di Iovine svela l’arma segreta degli U2: il modo di suonare versatile ed elastico del bassista Adam Clayton. Durante tutto il disco, il costante tappeto di basso intessuto da Clayton crea lo spazio per The Edge e i suoi abbaglianti lamenti di chitarra. 

Gloria, che nella sua versione in studio affonda sotto il peso esagerato della fede di cui parla, qui si trasforma in un rock ardente.

Inolte le tastiere malinconiche di The Edge fanno diventare New Year’s Day migliore dell’originale.

Ma l’apice viene raggiunto con Sunday Bloody Sunday. Potrà pur non essere una canzone ribelle, così come aveva detto Bono davanti a un pubblico tedesco presumibilmente attonito, ma è comunque un brano capace di ogni altra emozione: una sintesi addolorata e meditativa di credenze religiose e politiche, sostenuta dal riff da stadio più devastante del decennio. “Questa è una Stairway to Heaven per intellettuali – anche se è suonata un pochino troppo veloce – e lancia Under a Blood Red Sky oltre l’arcobaleno”, come scrisse una volta Rolling Stone.

Nonostante tutto, Bono resta ineluttabilmente se stesso, sia quando si lascia andare (nell’intermezzo Send in the Clowns per la comunque ammirevole The Electric Co.) sia che sia lui a trasportarci via, come con la dolce poesia di 40.


Una volta ho visto gli U2 suonare I Will Follow per tre volte in un unico concerto, stabilendo il record di ripetizioni ancora imbattuto da una grande band. Se riesco ancora a godermela nella versione contenuta in questo album, immaginate quanto piacerà a voi.

Dopo quel cielo rosso sangue gli U2 cambieranno pelle e sonorità . Sarà  però ancora il rosso a indicare la via maestra, il rosso di un fuoco che sarà , fin da subito, indimenticabile…