EDITORIALE – È il 1985: Roger Waters abbandona i Pink Floyd. Già prima di allora la band inglese era, oltre che pietra miliare del rock, anche annoverata tra i ‘filosofi della musica’: avanguardisti e sperimentatori, sia in campo sonoro che in quanto a testi. Quando poi a condurre il gruppo rimase l’anima ‘letteraria’, David Gilmour, i brani assunsero una carica ancor più poetico-filosofica, a scapito della peculiarità sinfonica e sociale che aveva invece caratterizzato i tempi precedenti. È il caso di “High Hopes”, trent’anni compiuti ieri e brano conclusivo dell’album “The Division Bell” del 1994. Canzone senza dubbio ‘filosofica’: assai densa di concetto e riflessione. Nulla, dai Pink Floyd, è lasciato al caso: basti pensare alla copertina di “The Dark side of the moon”, divenuto simbolo pressoché indiscusso del gruppo: il prisma. Il raggio di luce è la vita; esso colpisce e inonda il prisma, che è l’uomo, i cui bordi si illuminano. L’individuo rielabora tale luce restituendo come rimando le sue idee e azioni in merito (i raggi colorati): tutte proiezioni dell’individuo sulla base delle proprie condizioni naturali. Pare trattarsi di un concetto caro a Kant: quello delle lenti colorate, le forme trascendentali pure dello spazio e del tempo, che filtrano la realtà e ce la mostrano nella sua manifestazione esclusivamente fenomenica.
Se tutto è congegnato mirabilmente, “High Hopes” non poteva che caricarsi di un ruolo significativo, data la sua collocazione a chiusura dell’album: essa rappresenta, prima di tutto, un testamento o lascito ai posteri. “High Hopes” è, poi, insieme al video promozionale con cui è uscito – fondamentale per la fruizione del messaggio, un voltarsi indietro, sia di Gilmour per guardare alla sua storia, sia di ciascuno per constatare il bene e il male che si è dato e ricevuto nella propria vita. Messaggio fondamentale, spunto profondo di riflessione trasmesso dalla canzone, concerne la condizione esistenziale dell’uomo, impotente e oppresso. Due sono i fardelli che lo calpestano. Da un lato c’è il peso del tempo: l’eterno fluire, divenire, e l’eterno ritorno. Dall’altro c’è il peso della regola: il fardello del cammello di Nietzsche. Al cammello, che rappresenta l’uomo che ha paura e riverisce, compiaciuto della propria natura servile al punto di prendere su di sé i grandi tormenti del mondo, subentra il coraggio del leone, che riconosce finalmente il suo servilismo e comincia a sfidare le imposizioni.
E mi spiego meglio. Immergiamoci, allora, nel testo. Per prima cosa, chiediamoci: ‘chi siamo?’ Siamo noi, adulti, che guardiamo alla giovinezza che è stata, verde e spensierata. Ripensiamo ai tempi in cui contava soltanto con chi stare, che guardare, e, con meraviglia, sorprendersi. Il nostro è il mondo della campana della discordia: di egoismo e prevaricazione, della sopraffazione cieca, a differenza di quell’era di innocente comunanza ormai passata.
La “Division Bell” è la campana del parlamento inglese, che suona quando un deputato è chiamato a votare. Posta a titolo dell’album, simbolizza la presa di coscienza: il momento delle decisioni irrevocabili. Le campane rintoccano all’inizio e al termine del brano, come a suggerire quanto i sette minuti appena vissuti costituiscano un momento di riflessione, il momento, anzi, della conquista di consapevolezza. Che siamo qui, piccoli e soli, gravati dal peso del tempo, a guardare, impotenti, la nostra vita disperdersi (e si pensi al video e alle persone che portano la campana come un fardello). È Gilmour che si ferma, volge lo sguardo all’indietro, e, guardando al proprio vissuto, ricorda. Memorabile é la versione live suonata nel live album Pulse, oltre alla bellezza e commozione di averla potuta, ascoltare dal vivo a Roma, due settimane fa.
Scritto da Gilmour insieme al tastierista Richard Wright, Keep Talking, che compare sul lato B del disco, è uno dei pochi brani in cui Gilmour esegue un assolo con la talk box, elemento utilizzato nell’album Animals e nel tour seguente del 1977-78. All’inizio del brano e al suo termine sono presenti registrazioni generate dal sintetizzatore vocale di Stephen Hawking con cui il fisico era costretto a comunicare a causa di una malattia del motoneurone che lo colpì fin dal 1963.