#TellMeRock, i trent’anni di Viaggio Senza Vento e quei Timoria in cammino con il loro Joe

EDITORIALE – Negli anni novanta la nostra penisola vide crescere il successo di alcune rock band che finalmente cominciavano a uscire dalla penombra per riscuotere, chi più chi meno, una certa notorietà e un sempre maggior favore presso il pubblico; tra queste ricordiamo i già rodati LitfibaAfterhoursRitmo TribaleNegritaMarlene Kuntz… e, ovviamente, Timoria. Il mastermind del combo bresciano era il chitarrista Omar Pedrini il quale si accompagnava a musicisti di altissimo livello come il drummer Diego Galeri, il bassista Carlo Alberto Pellegrini e il tastierista Enrico Ghedi; ma chi spiccava sopra tutti era un ragazzo dall’ugola d’oro, quel Francesco Renga che poi virerà in futuro verso i più sicuri lidi della canzone da classifica, privando così il mondo della musica pesante di uno dei suoi cantanti più dotati.

Dopo aver dato alle stampe tre dischi e aver addirittura partecipato al 41° Festival di Sanremo proponendo L’Uomo che Ride, con un Renga quasi irriconoscibile, allora piuttosto paffuto e con un look non propriamente da rockstar, i tempi erano finalmente maturi per mostrare al popolo italico tutto il grandissimo potenziale del gruppo. Con il disco in questione il quintetto lombardo centrò in pieno il bersaglio.


Viaggio Senza Vento, trent’anni compiuti ieri, 12 ottobre, è l’album del salto di qualità definitivo: produzione grandiosa e finalmente all’altezza (impietoso il confronto con quella leggerina dei dischi precedenti per quanto allora molto vicini nel tempo), un songwriting davvero ispirato e una prestazione della band a dir poco eccellente. Il disco è un concept e in quanto tale non è di immediata assimilazione; se ascoltate in maniera “slegata” alcune canzoni possono risultare poco comprensibili o addirittura spiazzanti, ma chi ha avuto modo di apprezzare l’opera nella sua interezza, come la natura stessa del disco richiede, non può far altro che ammirare questo miscuglio rock a tratti progressive e dalle marcatissime sfumature melodiche.

L’album, scritto e arrangiato dai Timoria, è stato prodotto da Angelo Carrara e registrato tra giugno e luglio del 1993 all’Avant Garde di Milano da Massimo Lepore, la post-produzione è stata effettuata al Grunf Studio da Alberto Crucitti. Vi hanno partecipato Eugenio Finardi, il violinista Mauro Pagani, il flautista Roberto Soggetti e il percussionista ex Litfiba, Candelo Cabezas

Il Viaggio Senza Vento non è altro che il viaggio interiore di Joe, un ragazzo alla deriva che attraverso diverse esperienze cerca il riscatto di se stesso per il miglioramento della propria esistenza; dopo il ritratto del protagonista nell’omonima seconda traccia, apprendiamo che il Nostro è un tossicodipendente il quale, dopo essersi chiesto cosa lo abbia portato ad allontanarsi da luoghi e volti un tempo a lui familiari, Sangue Impazzito, vive, a causa della propria condizione, un momento di smarrimento e sconforto che lo porteranno dapprima all’arresto (Lasciami in Down, la cui parte parlata è affidata a Illorca) e successivamente al ricovero presso una prigione/canile/centro di disintossicazione dove troverà La Cura Giusta“per non guarire mai” [Cit.].

Dopo aver ucciso con una pistola dai tre colpi d’oro il guardiano-carceriere, Joe può iniziare La Fuga che lo porterà a lasciare la terra natia (Lombardia) e ad incontrare il veggente -Il Mercante dei Sogni- che segue il suo cammino e che lo aiuterà a comprendere le sue visioni (Il Sogno) e a scegliere, dopo essersi lavato via di dosso il proprio passato grazie ad una simbolica pioggia, la via da intraprendere tra il bene e il male (il cui dualismo dentro noi stessi è intrecciato Come Serpenti in Amore) per completare la propria trasformazione e, dopo aver trovato l’amore ne La Città di Eva, diventare infine un guerriero.

È tempo per Joe di ripercorrere i propri passi e quindi tornare alla realtà, “con lo sguardo fiero e gli occhi lucidi” armato di una nuova consapevolezza per incontrare gente degna di lui e dare un senso ai propri giorni. Per essere una persona migliore e vivere un’esistenza piena.

Come già accennato si passa dal vigoroso hard rock dell’opener al folk di Lombardia, brano sperimentale -soprattutto grazie al violino di Pagani– il cui incipit riporta volutamente alle musiche che ancora oggi si ballano alle sagre e alle feste di paese, per giungere al rock stile 70’s che strizza l’occhio al prog di Lasciami in Down, fino alla melodia delle stupende ballad: Sangue Impazzito è semplicemente una delle cose migliori partorite dai Timoria, ma non si possono non citare altri pezzi da novanta come Verso Oriente (cantata da Pedrini in coppia con un emozionante Eugenio Finardi) o ancora La Cura Giusta. Discorso a parte per Freedom, essenziale con il piano di Ghedi e la voce cristallina di Renga, e completata da cori stupendi: un pezzo da brividi.

Il riff che apre Il Mercante dei Sogni è efficacissimo nella sua semplicità, così come il wah-wah che dà voce alle plettrate dell’ottima Il Sogno, mentre nella frenetica Come Serpenti in Amore le note si inseguono impazzite per dar vita a una composizione a dir poco magnifica, e lo stesso vale per Piove, altro must del disco dal refrain indimenticabile; e che dire di Senza Vento, ormai assurta a vero e proprio inno generazionale?

Da segnalare infine la presenza di un’inquietante strumentale -La Città della Guerra, oggi tristemente attuale come non mai è dalle atmosfere quasi doom- e un paio di divertenti filler (Campo dei Fiori Jazz Band e la funkeggiante Frankenstein).

Si tratta del disco più completo e maturo dei Timoria, unanimemente riconosciuto come il loro disco di punta, nonché una delle vette più alte raggiunte dal rock Made in Italy targato anni ’90: con ciò la band, nonostante una maggior popolarità, rimase comunque ben lontana dal divenire un fenomeno di massa.
Il rimpianto per quello che è stato e non sarà più viene lenito dalle note di questo gioiello in musica, che rimarrà negli anni a venire come futuro epitaffio di una generazione un po’ confusa, spaesata di fronte a ideali e obiettivi ormai difficili da conseguire ma vogliosa di andare avanti con le proprie forze: la “generazione senza vento”, anche trent’anni dopo.