#TellMeRock, i ventidue anni di ‘Elephant’: le visioni e distorsioni dei White Stripes

EDITORIALE – Mondiale del 2006, strade in festa, assembramenti legittimi, Italia Campione del Mondo e persino mia madre che cantava Po, Po ro ppo po po…

Vai a fare “l’esperto musicale” in quei giorni, e andare a spiegare che in realtà quel ritornello festoso era la famosa Seven Nation Army dei detroitiani White Stripes, ovvero Jack White (vero nome John Anthony Gills) e Megan Martha White, prima spacciata per sorella di Jack e poi (ex) moglie.

Il pezzo è estratto dal fortunato album Elephant pubblicato per la prima volta il 2 aprile del 2003.

Dopo il successo del precedente “White Blood Cells”, le Strisce Bianche insistono anche in questo “Elephant” con i loro brani chiassosi, che rievocano i bei tempi andati mescolando garage, blues, acid-punk e psichedelia. Rock contemporaneo, dunque, ma registrato con strumentazioni vintage, a dare un tocco inconfondibilmente retrò.

Rispetto alla moltitudine di rivangatori delle radici della musica americana, però, i White Stripes sembrano anche possedere una certa abilità nel comporre canzoni.

Anche in “Elephant”, non mancano brani dal forte impatto emotivo, a cominciare dalla ballatona acustica di “You’ve Got Her In Your Pocket”, con la voce sofferta di Jack in evidenza, per proseguire sull’onda delle melodie soul di “I Want To Be The Boy To Warm Your Mother’s” e sulle note vagamente lisergiche di “In The Cold, Cold Night”, serenata per chitarra, organo e voce (di Meg White), con echi di Doors Patti Smith.

E c’è spazio anche per il country stralunato di “Well It’s True That We Love Another” e per una cover di Burt Bacharach (“I Just Don’t Know What To Do With Myself”).

Per il resto, è il ritmo a far da padrone, come dimostrano l’energico singolo “Seven Nation Army”, con un bel giro di chitarra, la vibrante invettiva punk di “Black Math”, la beatlesiana “There’s No Home For You Here” e ancora “Hypnotize”, che unisce una melodia contagiosa alla foga del punk.

Ma sono soprattutto i sette minuti di “Ball And Biscuit”, tributo alla Chicago rhythm ‘n’ blues degli anni Cinquanta, a dare spessore musicale al disco.

Sì, perché spesso i White Stripes affogano in un mare di idee senza riuscire a svilupparne coerentemente una. Errano senza posa tra le pagine della storia del rock: dai Led Zeppelin ai Ramones, dai Nirvana alla Jon Spencer Blues Explosion.

I ritmi vanno a richiamare anche gli echi del punk reinventato dei Talking Heads, quando parte la coinvolgente e continua The Hardest Button To Button, in cui il riff iniziale richiama a tutti gli effetti la Psycho Killer della band di David Bryne.

Il video crea dipendenza, con Jack e Meghan che si sdoppiano a ritmo di batteria e basso.

Remake ripreso nel 2º episodio della 18ª stagione de I Simpson intitolato Simpson Session (Jazzy and the Pussycats), con i The White Stripes guest star come loro stessi. Bart Simpson inizia a suonare la canzone, imitando il video, fino a quando si scontra con la batteria di Meg. Il duo insegue Bart finché non cadono in un ponte rotto alla fine del riff.

E’ un album revival, famoso per i suoi tormentoni e per i multi stile che contiene.

I White Stripes, sciolti poi nel 2011, hanno proseguito nella prima decade degli anni 2000 il loro lavoro di sperimentazione di generi e arrangiamenti.

Uno stile unico che per noi italiani, però, è sinonimo di “Cielo azzurro sopra Berlino”…

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