#TellMeRock: i ventuno anni del “Suicidio del Samurai” dei Verdena e quell’onda grunge nel panorama indie italiano

EDITORIALE – Tra le righe di questa rubrica abbiamo più volte sottolineato come a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, l’indie rock italiano abbia vissuto un periodo davvero di grande sperimentazione, grazie a gruppi che hanno fatto dell’innovazione del genere, un processo di rinnovamento paragonabile solo a ciò che magari è avvenuto a metà degli anni ’70 con le influenze di oltre Manica o oltre oceano.

Tra i vari già citati più volte C.S.I., Subsonica, Afterhours e altri, c’è una band bergamasca che con il suo terzo lavoro del 2004, ha dato un’impronta significativa al panorama italiano musicale del rock indipendente.

Oggi parliamo dei Verdena e del loro capolavoro Il Suicidio Del Samurai, ventuno anni compiuti oggi.

Il terzo album di un gruppo è quello che fa capire tutto. Un bivio da dentro o fuori. Schifezza o capolavoro. A volte calo di tensione, altre volte leggeri miglioramenti. Ma il terzo capitolo della storia dei Verdena è un album dove malinconia, rock, grunge e rabbia generazionale, si fondono in un unicum da ascoltare e in cui ognuno di noi può ritrovare la sua storia ideale.

Logorrea sfrutta una potente batteria e canta l’insofferenza per la routine quotidiana e forse della vita in generale. Si capisce subito che lo stampo “ottimista” in perfetto stile Kurt Cobain, già caratteristico dei precedenti album, è rimasto interamente intatto.

Luna è poi un manifesto del nichilismo più assoluto con il suo “niente conta” sputato in faccia dall’ottima voce di Alberto Ferrari.

Mina è una splendida ode, davvero intensa e emozionante, con un riff di basso da brividi.

Balanite ricorda più i Soundgarden. Il canto sofferto e il grande accompagnamento delle chitarre la rendono quasi epica.

Phantastica segue il filone, sfrutta un testo ispirato di malessere esistenziale e lascia libero sfogo alla frustata e sempre emozionante voce di Ferrari accompagnata da un’altra splendida escursione di chitarre. Elefante è un roboante cambio di ritmo che riporta alla mente lo stile dei Muse.

Glamodrama è una ballata più leggera, velata di tristezza nel suo delicato inizio e che si dilata in un’ottima parte acustica prima di spegnersi lentamente. Far fisa risente di nuovo dell’influenza dei Muse e sfrutta il solito schema: voce trascinante, batteria lancinante, riff accattivante. Il risultato è garantito.

17 tir nel cortile è un incrocio tra Foo Fighters e Smashing Pumpkins e ancora una volta si resta impressionati dalla grande passione e drammaticità contenute nel pezzo.

40 secondi di niente potrebbe apparire un brano riempitivo e debole, ma in realtà dentro di sé racchiude una forza testuale non indifferente

 L’omonima Il suicidio dei samurai chiude il disco con un’orgiastica serie di schitarrate e deliri.

Undici canzoni, tutte di ottima fattura. Lo stile sonoro è quello di un rock squisitamente grunge e la malinconia e la rabbia che trapelano dai testi non possono essere bollati come sciocchezze adolescenziali ma mostrano invece una certa maturità compositiva. Alla stessa maniera il suono è nitido, potente e sfrutta una grande base sonora. Si fatica a capire le critiche loro rivolte di fare solo “rumore”.

La realtà è che i Verdena si confermano uno dei pochi gruppi (assieme a Afterhours, Marlene Kuntz, One Dimensional Man e altri) in Italia in grado di suonare un sano rock come dio comanda. Non inventano niente per carità, però sono dei maestri a rievocare quei suoni sporchi e distorti che hanno affascinato il panorama di Seattle negli anni ’90. Gli apprezzamenti ricevuti anche oltreconfine confermano il loro calibro internazionale.

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