EDITORIALE – Dopo il disco di debutto della Santana Blues Band nel 1969, mezzo milione di persone vanno in estasi per l’esibizione del rock latino del gruppo a Woodstock. Nella band spicca il talentuoso batterista, all’epoca appena ventenne, Michael Shrieve, che nel brano Soul Sacrifice, portò il drumming a uno stato impetuoso e multiforme, da far invidia ai ben più navigati Bonham (Led Zeppelin) e Moon (The Who).
Ma sempre a proposito di Woodstock, ancora ricordo le parole del massimo esperto musicale Ernesto Assante con cui ebbi l’onore di interloquire a Fardella nel dicembre 2019, il quale mi raccontò che lo stesso Santana gli confidò di esser salito sul palco del festival talmente fatto di mescalina che a un certo punto “la chitarra gli sembrò che avesse preso le sembianze di un grosso serpente”
Il 23 settembre del 1970, Abraxas, trainato da brani leggendari come Black Magic Woman, Oye Como Va e Samba Pa Ti, si piazza al numero uno della classifica americana per cinque settimane. Il successo mette sotto pressione la band e le divergenze artistiche tra Gregg Rollie, l’organista cantante e Carlos Santana stesso, con il primo che voleva accentuare le sonorità hard rock e il secondo che si spingeva verso il blues e la fusion (ispirato da Miles Davis e altri), portarono la band quasi allo scioglimento. Il gruppo risorse nel 1972, con una formazione diversa, con il lavoro Caravanserral.
Considerato spesso come il migliore tra gli album di Santana, Abraxas, registrato il 16 luglio del settanta, ebbe un enorme successo internazionale proprio per la sua miscela di influenze latine con temi rock caratterizzati da overdrive di chitarra elettrica ed organo. Abraxas dimostrò al pubblico anche la versalità stilistica del chitarrista messicano, come nel brano Samba pa ti e Incident at Neshabur, entrambi strumentali. Le percussioni latine – congas, timbales e bongos – si rendono più evidenti in questo secondo album, laddove nel primo prevalevano le improvvisazioni blues e rock.
Il titolo dell’album deriva da una citazione del libro Demian di Herman Hesse:
“Eravamo di fronte a lui e cominciammo a gelare dentro per lo sforzo. Abbiamo interrogato il dipinto, lo abbiamo vituperato, fatto l’amore con lui, pregato: lo abbiamo chiamato madre, lo abbiamo chiamato puttana e sgualdrina, lo abbiamo chiamato nostro amato, lo abbiamo chiamato Abraxas…” Il termine Abraxas ha un’origine gnostica.
C’è un momento, nella biografia di Bruce Springsteen scritta da Dave Marsh dal titolo Born To Run, che descrive alla perfezione il senso di frustrazione di chi ha dentro qualcosa che non riesce a esprimere e che, finalmente, un giorno capisce che la musica può essere il veicolo giusto. E’ quando Springsteen dice che la prima volta che ha avuto il coraggio di sostenere il suo stesso sguardo allo specchio senza scappare è stato quando ha preso una chitarra in mano.
E’ lo stesso principio che è alla base di Samba Pa Ti di Carlos Santana. Passava davanti allo specchio e non riusciva a fermarsi perché, quello che vedeva, come ha ammesso in un’intervista a Mojo nel novembre 2008, non era lui, ma un ragazzo che voleva essere qualcun altro, un musicista come B.B.King o George Benson o Peter Green. E allora quel pomeriggio prese la chitarra e cominciò a tirare fuori quello che aveva dentro: la rabbia, l’insoddisfazione, l’orgoglio, la voglia di vivere in prima persona. E nacque Samba Pa Ti. Quando, qualche mese dopo, nel 1970, in quella stessa camera, la radio trasmise per la prima volta la sua canzone, Santana corse allo specchio e quel che vide gli piacque: nel bene o nel male era diventato finalmente se stesso.
Abraxas è un concentrato di ritmo, introspezione, e fusione di generi. Esempio lampante ne è il capolavoro Black Magic Woman, canzone scritta da Peter Green apparsa per la prima volta come singolo dei Fleetwood Mac nel 1968, ed in seguito inserita negli album English Rose (US) e The Pious Bird of Good Omen (UK). In seguito il brano è diventato un classico nel repertorio dei Santana che la registrò nel 1970, ed in questa nuova versione raggiunse la posizione № 4 nella Billboard Hot 100. Il singolo è stato inserito in Abraxas, diventando più facilmente associabile a Santana che ai Fleetwood Mac.
La versione di Santana, registrata nel 1970, è inserita in un medley con la canzone Gypsy Queen di Gabor Szabo in un mix di jazz, musica folk ungherese e ritmi latini.
Ma Abraxas è anche l’album di Oye Como Va, canzone scritta dal grande Tito Puente, musicista di Portorico cresciuto nella New York di Spanish Harlem, ma resa celebre nel mondo rock dalla cover del messicano Carlos Santana. Nella versione originale erano più evidenti la derivazione cha-cha- cha e anche le forti somiglianze con un brano degli anni trenta di Cachao Lopez, Chanchullo.
Santana prese il brano, aggiunse le chitarre elettriche ( che si inserivano al posto del flauto), un organo Hammond, una batteria rock ed eliminò invece la sezione di ottoni. Era nato il Latin rock
Abraxas vendette oltre 4 milioni di copie, contribuendo ad edificare il mito di Santana. Come accadde a molti musicisti degli anni Sessanta e Settanta, il chitarrista messicanosi convertì alle religioni orientali e alla meditazione, assumendo anche, nel successivo 1973, il nome di Devadip, che significa Lanterna e Occhio di Dio. Un nome curioso per un artista che a Woodstock usò una chitarra – una Gibson SG Special – anche conosciuta con il nome di “Diavoletto”.