#TellMeRock: L’ironia degli Skiantos tra rock, punk e ‘demenza’…

EDITORIALE – Prendete un tipo eclettico e punk che un bel giorno di fine anni 70, si autoconferisce da solo il titolo di “portatore sano del rock demenziale” e che però, con gran sorpresa, non disdegna neppure la musica d’autore di Tenco e la sua innata malinconia.

Freak Antoni all’epoca guidava una pattuglia di guastatori culturali – del resto, era quella o no la missione del punk, irridere fino a distruggere? Gli Skiantos la portarono alle estreme conseguenze e furono i primi in Italia. Nel 1977 avevano esordito con un disco dal titolo programmatico (Inascoltabile) e un anno dopo erano usciti con un altro LP anche questo rivelatorio sin dal nome (Monotono). Nel 1979, il vento della new wave arrivò anche a Bologna, ed allora ecco Kinotto. In realtà, di esterofilo nella formula musicale della band c’era poco, una parentela superficiale, il new wave era prettamente “made in Emilia Romagna” (pioniera di quella Emilia Paranoica cantata qualche anno dopo dai conterranei Cccp).

L’inizio di Kinotto, il secondo album degli Skiantos, è tutto un programma. Una chitarra che guida un lento che ammicca a Tenco, pausa, e poi: «Mi piaccion le sbarbine / Non posso farci niente / mi sento deficiente / lo so che non conviene / ma poi chi si trattiene», e via con una melodia che storpia il beat italiano degli anni ’60, quello dei capelloni emigrati dall’Inghilterra o che fingevano un accento inglese.

Gli Skiantos miravano al cuore della canzonetta italiana e la seppellivano a colpi di sberleffi, erano i figli malati del Futurismo e del Boom, animati da una cupa rabbia antisistema che si esprimeva in gag tra il demenziale e il dadaista per sublimare il senso di impotenza. «La mia vita è nella fretta / la mia strada si è ristretta / la mia casa è una cantina / la mia vita è in officina», canta Freak Antoni in Gelati. L’unica via di fuga (illusoria) dall’alienazione industriale è una piccola soddisfazione che nasce dal consumo, come per il Kinotto da bere «senza posa». La forza degli Skiantos è che tutto questo lo dicono senza salire in cattedra, senza pistolotti retorici.

Al di là del riso, Non ti sopporto più (perfetta combinazione di riff hard rock di chitarra e interpretazione sguaiata) e Ti rullo di kartoni (che guarda oltremanica) celano a stendo una furia che si libera, ugualmente sterile, nell’inno menefreghista di Kakkole. Nichilismo e solitudine si affacciano nel surf punk volgare di Se mi ami amami («all’amore non credo / vivo senza uno scopo»). Freezer, più funky, continua sulla stessa falsa riga, tra rime stupide («io non sento più amore / non sopporto il dolore / mi fa schifo il tuo sudore») e ammissioni tra lo squallido e il disperato («mi faccio sempre le seghe / tutte le notti e anche di giorno / nella vasca da bagno»).

Checché ne dica Sono buono, questa musica il «giusto tono» non lo trova mai, volutamente: Tu sei bellissima vorrebbe essere una canzone d’amore, ma scivola in una parodia del romanticismo di Tenco, Bindi & co., ridicolizzato nel nonsense («io voglio un figlio da te / tutto bello e grassoccio / e tu lo sai / che domani è domenica»). La risata è il vero antidoto, la pernacchia, la risata è il rock (Il rock ti dà lo shock): questo Freak Antoni l’ha saputo fino all’ultimo, ed anche ora che non c’è più, continuerà a dare fastidio a molti. Per fortuna.

Un disco molto originale che presenta, almeno in Italia, un gruppo che ha saputo adattarsi ai tempi senza però abbandonare mai la profonda demenzialità e l’autoironia che ha permesso loro di nascere insieme ad altre band come i ‘Gaznevada‘. Un disco che insieme a “Monotono” costituisce un pugno di canzoni che segneranno, in ogni senso, il rock made in Italy

Pubblicità