#TellMeRock, 24 Ottobre 2000: la rivoluzione di Hybrid Theory, l’esordio capolavoro dei Linkin Park

EDITORIALE – Siamo agli albori degli anni 2000, una decade che è stata, innegabilmente, un punto di grande cambiamento sotto innumerevoli aspetti, sia in abito culturale che musicale. Assistiamo ad un nuovo modo di fare musica, unendo e mescolando sonorità apparentemente diverse  e discordanti in una nuova forma che, come la storia ci insegna, ha avuto un successo senza precedenti.

Se il filone del cosiddetto nu-metal ha iniziato ad acquisire una forma vera e propria verso la fine degli anni ’90 del secolo scorso, grazie a band quali Korn, Deftones e Limp Bizkit, è con i Linkin Park che abbiamo la prima vera e propria esplosione commerciale del genere (in termini di mainstream assoluto).

Il loro Hybrid Theory, album di debutto pubblicato proprio il 24 ottobre di ventiquattro anni fa, che ha segnato la storia metal ma anche quella mia personale, radiofonica e universitaria, è riuscito nella ragguardevole impresa di polverizzare tutti i record di vendite per un genere non certamente da alta esposizione come il metal, con quelle sue 27 milioni di copie vendute (dato, questo, che lo rende l’album di debutto di maggiore successo per una singola band del ventunesimo secolo).

Cerchiamo di analizzare le motivazioni che hanno portato questi cinque giovani Losangelini a diventare una delle band più note e chiacchierate della storia recente, e del perché questo album in particolare sia un must per ogni amante della musica ‘heavy’. Iniziamo subito col dire, ma questo lo si sapeva già, che i Linkin Park non hanno inventato nulla. Stilisticamente, la band di Santa Monica ha attinto qua e là da altre realtà già precedentemente esistenti.

Non sono stati la prima rock band ad avere tra le proprie fila un DJ, né, tantomeno, i primi a mescolare rap, scream e voce pulita. Però sono riusciti nell’intento finale di confezionare un prodotto fresco, vivace, variegato e contaminato quanto basta da piacere (quasi) a chiunque. Uno sguardo più approfondito risulta d’obbligo.

Cominciamo subito con, a mio modesto parere, la traccia più completa dell’ album, “Papercut” (nonché uno dei quattro singoli estratti dall’album): tale episodio ha tutto ciò che qualifica i Linkin Park in positivo: il flow dell’MC Shinoda, cadenzato e accattivante; l’elettronica sinuosa del DJ Hahn; e in più, il fondamentale apporto della grandissima ugola del compianto Chester Bennington, probabilmente l’elemento che ha reso, da sempre, la band americana immediatamente riconoscibile. Il pezzo s’insinua subito nella nostra testa, e lì ci resterà per un bel po’.

Succedono nell’ordine “One Step Closer”, altro singolone super groovy, cattivo quanto basta da farci saltellare su e giù per la stanza come dei quindicenni, “With You”, pezzo indiscutibilmente crossover caratterizzato dal sapiente uso dello scratch di Mr. Hahn, e “Points Of Authority”, altra bomba incredibile, talmente perfetta nella sua semplicità da risultare fresca e ficcante ancora oggi.

 Il resto della tracklist si muove sulle stesse magistrali coordinate, regalandoci un numero davvero impressionante di piccole perle (“Crawling”, “A Place For My Head”, “A Cure For The Itch”) e, su tutte, la nu-metal ballad “In The End”, sicuramente il loro pezzo più famoso di sempre e sul quale, a meno che non abbiate vissuto da eremiti in tutti questi anni, non possiamo assolutamente passare su.

È il brano che non solo ha consacrato i Linkin Park, ma anche quello che, se vogliamo, ha reso il nu metal accessibile e ascoltabile anche alle fasce più giovani, con un video accattivante ( meritevole di innumerevoli passaggi anche nei dopo scuola di Mtv e All Music), e un ritornello facilmente memorizzabile, alimentato da spinte e melodie tra crossover e hip –hop.

La carta vincente dei ragazzi è stata la capacità, rispetto alle altre compagini nu dell’epoca, di dare un tono suadente e soft alle proprie composizioni (è impossibile, per un orecchio attento, non notare aleggiare lo spettro dei Depeche Mode in certe melodie). Si potrà essere discordi su tutto quanto scritto in queste poche, precedenti righe, ma sicuramente questo album rappresenta una grossa fetta del modo di concepire la musica nel decennio passato, un modo fatto di contaminazioni cross-genere, di sperimentazione e di coraggio.

E’ l’album della perfezione per i Linkin Park, un susseguirsi di ritmi e melodie sperimentali che hanno rivoluzionato il metal tra elettronica e hip –hop. Capolavoro che però purtroppo non porterà la band nuovamente a sperimentare e a spegnere lentamente le proprie ambizioni, esaurendo così quella vena artistica che ha reso e rende Hybrid Theory un vero e proprio album simbolo.

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