Teresa Mariani fissava la pioggia che batteva contro il vetro del suo ufficio al quarto piano del palazzo comunale di Potenza. Aveva quarant’anni da tre mesi, un’età che le pesava come un macigno sulle spalle strette del suo tailleur grigio. Le gocce formavano rivoli che si rincorrevano verso il basso, proprio come i suoi pensieri, sempre diretti verso qualcosa da risolvere, qualche problema da affrontare. Il telefono squillò ancora, per la quinta volta in mezz’ora. Lo lasciò suonare. Fuori, le montagne lucane apparivano e scomparivano tra banchi di nebbia, mentre la città si rannicchiava sotto il temporale di novembre. “Dottoressa, c’è il sindaco che la cerca”, disse Giovanna, affacciandosi alla porta con quella sua espressione perpetuamente preoccupata. Teresa annuì senza voltarsi. “Arrivo tra cinque minuti.” Cinque minuti. Era tutto ciò che poteva concedersi. Cinque minuti di silenzio prima di tornare alle riunioni, alle decisioni, ai fascicoli che si accumulavano sulla scrivania come foglie morte. Si alzò con un sospiro e si avvicinò alla finestra. Da lassù poteva vedere una porzione di Potenza: i tetti scuri e bagnati, il groviglio di strade che si arrampicavano sui pendii, qualche luce già accesa nonostante fossero solo le cinque del pomeriggio. Quindici anni in quell’ufficio, a occuparsi dei problemi degli altri, a rimandare i propri. Il pensiero le venne mentre osservava un uomo che correva per ripararsi dalla pioggia. Correva verso qualcosa o scappava da qualcosa? Non era forse quello che faceva anche lei, ogni giorno? “Di tanto in tanto è bene fare una pausa nella nostra ricerca della felicità ed essere semplicemente felici.” L’aveva letto da qualche parte, forse su uno di quegli sciocchi calendari motivazionali che sua sorella le regalava ogni Natale. Parole che l’avevano fatta sorridere per la loro ovvietà. Eppure ora, davanti a quella finestra, le sembravano contenere una verità che non aveva mai realmente considerato. Prese la sua borsa, una cosa di pelle consumata che aveva da più di dieci anni, e infilò dentro l’agenda e il telefono. “Dottoressa?” Giovanna era di nuovo alla porta, con l’espressione di chi sa che sta per succedere qualcosa di insolito. “Dì al sindaco che non ci sono. Sono uscita. Un’emergenza personale.” “Ma la riunione con i—” “Domani. Tutto domani.” Scese le scale rapidamente, senza usare l’ascensore, come per evitare di incontrare qualcuno che potesse fermarla, farle cambiare idea. Il suo corpo si muoveva di sua iniziativa, i tacchi risuonavano sui gradini di marmo con un ritmo deciso che non le apparteneva. Fuori pioveva ancora, ma non le importava. Si fermò sotto la pensilina dell’ingresso, guardando la pioggia che formava pozzanghere sul selciato. Poi, con un gesto improvviso, si tolse le scarpe, le infilò nella borsa e uscì a piedi nudi sotto l’acqua. La sensazione dell’acqua fredda sotto i piedi, il rumore della pioggia che le batteva sulle spalle, perfino il dolore dei ciottoli contro la pianta dei piedi – tutto era reale, vivo, presente. Per la prima volta da mesi, forse anni, Teresa non stava pensando a domani. Camminava senza meta nelle strade di Potenza, la sua Potenza, la città che conosceva ogni giorno solo attraverso pratiche e ordinanze. Passò davanti a un piccolo bar dove non era mai entrata, nonostante fosse a due isolati dal municipio. La vetrina era appannata, l’interno sembrava caldo. Entrò, lasciando una scia bagnata sul pavimento. Il barista, un uomo sulla sessantina con folti baffi bianchi, la guardò come si guarda un’apparizione. “Mi scusi per l’acqua”, disse Teresa, con una voce che non le sembrava la sua. “Potrei avere un caffè?” L’uomo annuì, ancora sorpreso. “Signora, vuole un asciugamano?” Teresa scosse la testa. “No, grazie. Sto bene così.” Si sedette a un tavolino nell’angolo, con la schiena contro il muro caldo del termosifone. L’acqua gocciolava dai suoi capelli corti, formando una piccola pozza sotto la sedia. Attraverso la vetrina vedeva la pioggia che continuava a cadere, le persone che correvano da un riparo all’altro, tutte proiettate verso qualche destinazione. Il barista le portò il caffè e, senza che lei avesse chiesto nulla, un piccolo bicchiere di liquore color ambra. “Per scaldarsi”, disse semplicemente, prima di tornare dietro il bancone.
Teresa bevve un sorso. Era grappa, forte e bruciante. Le scese nello stomaco come una fiamma, diffondendosi poi in tutto il corpo. Si rese conto di sorridere. Un’ora dopo era ancora lì, al suo terzo caffè, a parlare con il barista – Antonio – che le raccontava di quando, da giovane, aveva voluto fare il fotografo e aveva girato mezza Europa prima di tornare a Potenza per prendere in gestione il bar del padre malato. Le mostrava le vecchie fotografie in bianco e nero appese alle pareti, che Teresa non aveva notato entrando. “E poi si resta”, diceva Antonio, asciugando un bicchiere. “Si finisce per restare dove non si pensava di voler essere. Ma si trova una pace, sa? Si smette di cercare altro.” Teresa ascoltava, pensando a tutte le volte che aveva rimandato una vacanza, un corso di pittura, una semplice passeggiata perché c’era sempre qualcosa di più importante da fare. Sempre alla ricerca di una felicità che doveva arrivare domani, tra un mese, dopo la prossima promozione. Quando infine uscì dal bar, la pioggia era cessata. Le strade luccicavano sotto i lampioni, e l’aria aveva quella particolare freschezza che segue un temporale. Camminò lentamente verso casa, ancora scalza, sentendo ogni sensazione amplificata, presente. Domani sarebbe tornata al municipio, alle riunioni, alle responsabilità. Ma questa sera aveva fatto una pausa nella sua ricerca della felicità. E, stranamente, si sentiva felice.
Disclaimer: Il testo è un racconto di pura fantasia. Tutti i personaggi, i luoghi, gli eventi e le situazioni descritte sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non hanno alcun riferimento intenzionale a persone reali, viventi o defunte, a istituzioni, enti o organizzazioni esistenti. Qualsiasi somiglianza con la realtà è da considerarsi puramente casuale e non voluta. Gli eventi narrati non intendono rappresentare fatti storici reali né fare riferimento a situazioni o circostanze realmente esistenti. Il racconto è stato creato esclusivamente a scopo narrativo e di intrattenimento.