Esiste una validissima alternativa alle domeniche autunnali magari trascorse nell’inedia del divano: andare alla scoperta del composito territorio lucano, un’attività di prossimità che svela paesaggi e patrimoni di cui spesso si ignora l’esistenza, ma che riempiono gli occhi di piacevolezza, e ci rendono sicuramente più consapevoli dell’attrattiva della nostra regione, che in primis noi abitanti tendiamo a sottovalutare.
Un itinerario che si può fare, a partire dall’area sud, segue la direttrice della Sinnica, per poi introdursi delle aree interne comprese tra l’antico corso Siris e il fiume Agri. Uscendo a Episcopia, nell’entroterra di questo comune è possibile visitare un antico insediamento monastico di origine basiliana: il santuario di Santa Maria del Piano. Il contesto bucolico ha echi letterari: luogo ameno circondato da bei campi coltivati, essi sono il segno di continuità tra la mano contadina dell’uomo contemporaneo e quella dei monaci che qui vissero per secoli, modellando il paesaggio sul calco dell’incontro tra opera e preghiera. Dal piazzale antistante si intravede il plesso conventuale, abbandonato e parzialmente in rovina, mentre accessibile è il vano ecclesiale, che avrebbe bisogno di urgenti interventi di manutenzione. Al suo interno è possibile ammirare opere pittoriche di Giovanni Todisco, forse il più importante pittore lucano del ‘500 (lascio agli storici dell’arte dirimere questa mia supposizione).
Se la giornata è soleggiata e tiepida come quella capitata a me, è davvero difficile staccarsi dall’ipnotico benessere dato alla vista da quell’armonico incontro tra il verde della vegetazione e il marrone vivo dei campi arati; ma è giunto il momento di ripartire e, imboccata nuovamente la Sinnica fino al bivio di Sant’Arcangelo, si prosegue verso San Martino d’Agri, percorrendo la fondovalle, in un tratto paesaggisticamente molto suggestivo, che ha il suo culmine nell’attraversamento dei Balzi di San Lorenzo, conosciuti anche come Murgia di Sant’Oronzo, una formazione pinnacolare che stupisce per la sua imponenza, a ridosso del fiume, sito naturalistico di interesse comunitario, e sulla quale insiste una colonia avifaunistica che qui ha trovato l’habitat ideale per la sua riproduzione.
Oltrepassato questo incantevole valico, si prosegue fino al bivio per San Martino, che sorge più in alto e non è visibile dalla carreggiata della fondovalle, a differenza di Missanello. Una volta giunti, veniamo accolti con grande cordialità dai volontari della locale associazione “Vincenzo Marinelli”, che ci guidano alla scoperta di questa deliziosa comunità posta sul versante meridionale dell’Agri. A dispetto di un centro storico piccolo, condensato lungo un’unica direttrice, quanta grazia tra le sue mura! Si comincia col Convento di Sant’Antonio, gioiello di epoca rinascimentale ma nel quale prevalgono ormai solamente le risultanze barocche, che modellano in bianco la chiesa a navata unica, dal cui coro una porta immette nello stupefacente chiostro affrescato, opera, in buona parte, di un altro talentuoso artista lucano, più tardo (XVIII secolo) rispetto al Todisco, Pietro di Giampietro da Brienza. L’iconografia si concentra sui miracoli di Sant’Antonio e sui volti dei più noti santi cattolici, ritratti in medaglioni perfettamente conservati.
La visita procede al Museo “Vincenzo Marinelli”, non prima di aver oltrepassato piazza Plebiscito, dove si erge una grande pittura murale, raffigurante un vecchio e un giovane, opera dell’artista argentino Guido Palmadessa. Ma è il museo il luogo che non ci si aspetta in una comunità così nascosta nell’appennino lucano, perché è luogo di conservazione di alcune rilevanti opere ma soprattutto della memoria di un artista eccentrico, tra i più importanti esponenti dell’orientalismo pittorico, ma anche animoso patriota e instancabile viaggiatore, che alimentò il suo immaginario grazie a un prolungato, quanto avventuroso, attraversamento del Medio Oriente, alla metà del XIX secolo.
Dopo aver goduto del panorama dalla terrazza del fu palazzo baronale, da cui si coglie nuovamente la possente presenza della Murgia di Sant’Oronzo, si salutano gli amici e ci si avvia verso Roccanova per il pranzo. Roccanova, una delle celebri “città del vino” lucane, dove è possibile associare il gusto di Bacco a quello del tartufo bianco del Serrapotamo, vanto di questa area boschiva (e che ha ogni anno in Carbone la sua fiera celebrativa). Ed è quello che si può fare al mitico ristorante “La Villetta” della briosa famiglia Appella, in cui il senso dell’ospitalità è ottimamente coniugato all’insuperabile cucina casereccia. Non c’è domenica senza un buon pasto, abbondante di forma e di sapore. Il post-prandium è l’attesa del calar del sole, osservando il panorama dall’alto del centro storico. Se si è fortunati come lo siamo stati noi, non mancheranno sfumature di rosa caldo, a sfumare l’orizzonte.