Tre testimonianze su e della Dc

EDITORIALE – Negli ultimi tempi, Marco Follini ha posto l’accento sul significativo lavoro che si sta svolgendo in Basilicata per raccontare la storia della Democrazia Cristiana (DC). Un racconto che non riguarda solo i grandi leader, ma anche quei dirigenti e amministratori, spesso giovani, che operavano nelle retrovie, nelle ultime file, lontano dalle luci della ribalta. Erano questi uomini e donne, parte di quell’immensa periferia che ha rappresentato la vera forza della DC.

In questo contesto, proponiamo tre testimonianze originali che illustrano la vitalità e la pluralità della DC lucana. La prima è di Maria Teresa Gino, componente della presidenza nazionale del MEIC (laureati cattolici), che ha partecipato con noi alle celebrazioni per gli 80 anni della DC a Roma il 20 giugno scorso. Sebbene non abbia conosciuto la DC come militante, il suo contributo da storica è unico e prezioso.

La seconda testimonianza proviene da un bravissimo segretario sezionale di Marsico Nuovo, che ha scelto di restare anonimo. Ci racconta la vita ordinaria di una sezione, attraverso il ricordo di un’assemblea in vista di un congresso nazionale, offrendoci uno spaccato autentico della realtà sezionale.

Infine, Francesco Addolorato, direttore di Basilicata Notizie e giovane esponente della DC, ci regala un toccante ricordo di Ciccio Bulfaro, un caro amico recentemente scomparso. Il suo saluto di commiato durante il funerale non è stato solo un omaggio, ma una testimonianza di vita, che ha saputo raccontare egregiamente un pezzo di storia sezionale.

Queste tre testimonianze, nella loro diversità, dimostrano la ricchezza e la pluralità di idee e persone che animavano la DC in Basilicata, offrendo un contributo essenziale alla memoria storica del nostro Paese. DC A 30 ANNI DALLA FINE UNA RILETTURA STORICA.

Maria Teresa Gino
Il contributo dei cattolici alla storia d’Italia non si risolve nelle categorie della storia politica, deve piuttosto attingere a quelle della storia sociale. Tuttavia non si può dimenticare che, prima il Partito Popolare di Sturzo (1919-1925), poi la Democrazia Cristiana (1942-1994), da De Gasperi a Martinazzoli, hanno rappresentato il luogo storico privilegiato dello strategico impegno politico nella costruzione del Paese da parte della maggioranza dei cattolici.
La DC, che vide tra i suoi fondatori ex dirigenti del Partito popolare, fu concepita come partito nel settembre 1942, in clandestinità; poi, durante la “Settimana di teologia per laici” svoltasi nel Monastero di Camaldoli (Arezzo) tra il 18 e il 24 luglio 1943, nacque il c.d. Codice di Camaldoli e il 26 luglio seguente, Alcide De Gasperi, con lo pseudonimo di Demofilo, pubblicò un documento dal titolo “Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”.
Il “partito dei cattolici”, fu concepito a partire da esperienze associative ecclesiali e civili, come luogo dell’impegno unitario per la soluzione dei principali problemi italiani, si identificò con una serie di scelte di principio: la democrazia parlamentare, l’autonomia degli enti locali, il ruolo della famiglia, la libertà dell’insegnamento privato, il sostegno ai piccoli produttori e al terzo settore…
Cosa ne seguì? A scorrere i nomi dei Costituenti e quelli dei Ministri e dei Presidenti del Consiglio dell’Italia repubblicana tra il 1948 e il 1994, si capisce quale fu il contributo concreto dei cattolici della DC alla costruzione del Paese nel Dopoguerra postfascista, contributo che si fa più consistente abbinando ai governi alcune scelte adottate per la rinascita e la modernizzazione del Paese: la riforma agraria, il piano casa, la Cassa del Mezzogiorno, l’adesione al Patto atlantico, il contributo alla Costituzione dell’Europa…
La DC rimase il principale partito di governo dell’Italia democratica per 50 anni e per questo la storia del partito finisce per coincidere con la storia dell’Italia e, in parte, anche dell’Europa, di certo almeno fino al 1989, anno della caduta del muro di Berlino e del nemico comunista.


Tuttavia la drammatica conclusione della sua storia (con l’atto di scioglimento del 1994 da parte del consiglio direttivo) a causa della perdita di credibilità della classe dirigente, con Tangentopoli, e poi la connessa diaspora dei cattolici in politica, con la perdita del collateralismo della gerarchia episcopale, e forse anche l’elezione di papi non più italiani, hanno condizionato la lettura cronachistica della lunga vicenda del Partito, impedendo fino ad oggi che si trovasse un luogo aperto e comune dove poter declamare una lettura dei fatti, storiograficamente chiara e storicamente fondata.


Ma il 2024 segna il 30° anno dalla fine e l’80° anniversario del primo congresso della Democrazia Cristiana (Napoli, 29 e 30 luglio 1944). Pertanto lo scorso 20 giugno a Roma E. Galli Della Loggia, A. Giovagnoli, A. Melloni, A. Schiavone e F. Bonini, coordinati da Paolo Mieli e convocati dall’ex ministro dell’Università Ortensio Zecchino (presidente del Comitato per le celebrazioni degli 80 anni dalla Fondazione della DC) hanno tentato di sostanziare una più oggettiva lettura dei fatti, coinvolgendo peraltro i numerosi convenuti nel Teatro Quirino, organizzati da tutt’Italia, prevalentemente di mezz’età, ma con diversi giovani e molte donne…
“Nient’altro che storia”, come recita il titolo di un saggio dello storico Giuseppe Galasso… e tuttavia si pone una domanda sul nuovo interesse per questa opera di ricostruzione, se solo si riflette sul fatto che non sono stati celebrati così i precedenti decennali. Invece partiranno, grazie al comitato a cui aderiscono più di 20 istituzioni (Università, fondazioni, Istituti e Centri studio…), una Storia della DC in sei volumi, l’edizione dei carteggi dei leaders DC, un triennio di Seminari, una rassegna bibliografica e alcune borse di studio.
Si avverte il bisogno di rimettere in fila gli eventi, ricostruire profili biografici, restituire dignità ad una lunga storia di impegno. Tuttavia trapela anche la presenza di una “Sindrome di Ulisse” e circola tra i cattolici attivi la parola “nostalgia”.
Nostalgia come speranza di un ritorno al partito unico? Pochissimi sentono di poter confidare in una simile ipotesi: le risposte ai diversi tentativi avanzati a livello locale e nazionale, e i risultati ottenuti, non sembrano sostenere questa lettura e avallano la diagnosi di un’altra sindrome, quella “di Godot”.
Nostalgia come speranza di un ritorno all’impegno? Benché vi è chi, anche senza il partito unico, ha continuato a impegnarsi nei partiti e nelle amministrazioni, facendo politica in mille forme e modi, un “rinnovato impegno” è largamente auspicato, da ultimo a Trieste nella Settimana sociale dei Cattolici d’Italia, dedicata alla democrazia, dove Papa Francesco ha precisato:
Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. No. Dobbiamo essere voce, voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. […] Questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. Questo è l’amore politico. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità […] A questa carità politica è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi. Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile. Dobbiamo riprendere la passione civile, questo, dei grandi politici che noi abbiamo conosciuto.
Nostalgia di certo intesa come profondo desiderio di ritorno ad una classe dirigente generosa, dedita solo al bene comune, moralmente elevata, lungamente formata… si percepisce nettamente. Non poco, se davvero da un punto si vuol ripartire. Basta lasciare che la storia ci sia ancora maestra di vita.

DIARIO DI UN’ASSEMBLEA DI PARTITO Caro Peppino,
Il tuo invito,del quale ti ringrazio,riporta alla mia mente reminiscenze di vita politica giovanile che sembravano sopite se non rimosse.
Un flashback mi ha catapultato,come solo il borbottare dei ricordi sa fare,in una riunione di sezione tenuta durante la mia segreteria politica di partito a Marsico una cinquantina di anni .
Bisognava eleggere i rappresentanti sezionali al congresso regionale che,a sua volta,avrebbe eletto i rappresentanti al congresso nazionale del partito per la elezione del segretario.
Due stanzette,di una trentina di metri quadri complessivi, contenevano una folla che preoccupava per la tenuta dei solai in legno della struttura.
In precedenza,per la rilevanza e il valore politico dell’evento,erano intervenuti pezzi da novanta,ognuno a sostenere la propria mozione.


Avevo di fronte tanti iscritti e alle spalle,appesi al muro, i ritratti di Sturzo,Colombo e Moro raffigurati in modo tale che ognuno di loro guardava in una direzione diversa ma non verso se stessi.
Il dibattito “correntistico”,mi passerai il termine,allora era serrato,concitato,incalzante. Aprii la discussione con un breve intervento (non ero, e non lo sono tuttora, un buon oratore),rifacendomi ai tre ritratti che mi scrutavano “a retro” . Invitai l’assemblea a osservare con attenzione le tre effigi che avevano di fronte.
I loro sguardi,commentai,si proiettano in lontananza,nel futuro ma ognuno scruta in una direzione diversa da quella dell’altro. Credo che vi si possa ravvisare la metafora,non so se in senso positivo o negativo della presenza di “correnti” nel nostro partito”. Molti strabuzzarono gli occhi,tuttavia,nei loro successivi interventi, apprezzarono la mia osservazione edulcorandone il lato critico con i concetti di “dialettica politica e pluralismo di vedute necessari in qualsivoglia contesto partitico”.
Percentuale finale portata a casa dalle tre mozioni in lizza…33/%. Parità assoluta!
Il rimanente 1% non si è mai capito che fine abbia fatto.
Sturzo,De Gasperi,Moro. Tre giganti che hanno contribuito alla costruzione dell’edificio Italia in epoche diverse ma cruciali.
Ho letto,qualche tempo fa, un pamphlet su De Gasperi,di cui ti allego foto di copertina,che riporta le riflessioni di dodici esponenti democristiani contemporanei riguardanti la figura dello statista nonché intellettuale e fondatore del partito. Indimenticabile il suo discorso tenuto alla conferenza di pace di Parigi nel lontano 1946. Da rappresentante dei vinti,degli sconfitti, riuscì a riconquistare la fiducia dei vincitori che miravano a distruggere un paese già alla canna del gas.
Perdonami per le “svolazzanti” divagazioni vi che lasciano il tempo che trovano.

Un dirigente Dc Marsicano

ULTIMO COMMIATO PER L’ AMICO CICCIO Bulfaro.
Caro amico mio,
nel momento in cui ho scritto queste poche righe di commiato per te, mi ha colto il dubbio se
parlare del Ciccio amico o del Ciccio politico e amministratore.
Mi è venuto in soccorso, in questo mio indugiare, il pensiero di Cicerone in materia di amicizia,
secondo cui l’amicizia è ben più di un legame morale tra due persone, è la condivisione della
passione civile per il bene superiore dello Stato. Ho pensato che in realtà è proprio questo il senso
del vincolo che ti ha unito ai molti che hanno condiviso con te percorsi politici e responsabilità
istituzionali. Una comune passione per il bene della comunità e per quella nobile arte che è la
Politica.
Eh sì caro Ciccio. La Politica. Quella sana follia che spinge alcuni uomini a spendere la propria vita
per gli altri, per costruire una città più giusta, più partecipata, più attenta alle esigenze della gente,
specie di quelli più deboli. E tu sei stato tra questi, tra questi uomini che la politica non la fanno, la
vivono, se ne lasciano attraversare come l’ossigeno attraversa le foglie degli alberi affinché questi
possano restituirlo in nuove forme necessarie alla vita di tutti.
A Senise dire politica, specialmente per noi giovani democristiani, era dire Ciccio. Mi ricordo
quando per le prime volte entrai nella sezione della Democrazia Cristiana di Senise insieme ad altri
ragazzi, che nemmeno potevamo votare non avendo neppure 18 anni. La nostra attenzione e la
nostra ammirazione furono subito rivolte a quel giovane politico con i baffi, col quale imparammo
subito a identificare lo scudo crociato. Eri l’unico a darci retta, già allora non ti tiravi indietro a
spiegarci i meccanismi della politica, il funzionamento della macchina comunale, i consigli
comunali i preconsigli, le giunte. E poi i comizi, il paese infiammato dalla forte dialettica tra
comunisti e democristiani. Da una parte i rossi dall’altra i bianchi, e la vostra giovane generazione
che cresceva e si prendeva spazi sempre più vasti. E in quegli spazi eri già leader, seguito dagli
amici e rispettato dagli avversari, che rispettavi a tua volta, senza mai far venir meno il dialogo e il
confronto civile, e senza mai considerare gli avversari dei nemici, come purtroppo accade oggi
troppe volte.


Poi arrivò il voto alle comunali. Per tanti di noi giovanissimi l’emozione di entrare in cabina per la
prima volta. La prima volta che votai, votai per te amico mio. Poi la tua prima avventura da sindaco
e subito la grande prova, la tragedia della frana della collina Timponi del 1986. Il boato, i morti, le
ricerche dei corpi, gli occhi di tutta l’Italia puntati su questo piccolo paese della Basilicata dove una
collina aveva inghiottito otto persone, tra cui quattro bambini. Ricordiamo tutti lo smarrimento
della nostra comunità.
Siete cresciuti in fretta in quegli anni voi giovani amministratori, e con la fascia tricolore, insieme
agli altri, tu hai preso per mano il paese nel momento più triste della sua storia, e lo hai portato
fuori dalle macerie.
Non tutti sanno che alcuni degli articoli fondamentali della legge 120, poi denominata legge Senise,
uscirono dalla tua stanza di sindaco, scritti da te e dagli altri amministratori.
Se qualcuno vuol sapere qual è la tua eredità politica a Senise deve guardare a quei giorni e alla
visione ampia della politica di cui sei stato portatore.
Hai saputo recuperare il popolarismo sturziano nel corpo di una DC che a Senise era chiusa nella
ristretta élite di circoli esclusivi, separati dalla gente. Tu hai aperto questo schema e hai portato
l’anima popolare nel partito e nelle istituzioni. Hai saputo essere leader popolare senza essere
populista, con pragmatismo e senza la retorica di chi agita le folle. Hai attraversato il passaggio
dalla prima alla seconda repubblica senza cedere alla tentazione del leaderismo modaiolo. E con
l’autenticità di chi sa di appartenere a una grande storia hai segnato un primato: tu sei stato l’unico
candidato in Italia che con il sistema dell’elezione diretta del sindaco è stato eletto sotto il simbolo
della Democrazia Cristiana. Quel simbolo non lo hai mai abbandonato, nemmeno quando tutti gli
altri sono fuggiti verso i lidi più rassicuranti di un’alleanza che hai sempre giudicato innaturale.
Caro Ciccio, abbiamo attraversato insieme il momento più difficile della tua vita, siamo rimasti in
pochi e in pochi siamo saliti con te sulla scala di Piazza Vittorio Emanuele sotto lo stesso simbolo di
sempre.
Nella tua lunga attività politica non ti ho mai sentito dire “io”, la tua cifra politica è sempre stata un
“noi” senza condizioni. Eppure la tua capacità di intuizione dei contesti e delle soluzioni ai problemi
era notoriamente superiore. Sì possiamo dirlo caro Ciccio, eri il migliore!
Ma pari alla tua superiorità era la tua capacità di portare gli altri sulle tue posizioni senza imporre,
senza umiliare, senza urlare, senza far valere posizioni di forza. E questo grazie alla tua instancabile
capacità di dialogo, di ascolto, di argomentare, spiegare, fare sintesi (come amavi dire quando la
discussione andava troppo oltre), e di convincere con l’evidenza dei fatti e la forza della ragione. Tu
sapevi insegnare senza salire in cattedra.
Hai amato la buona politica perché eri un buono. Allora adesso affidati con fiducia nelle mani di
Dio, perché Dio ama i buoni.
Che tu possa vedere la gloria del Paradiso amico mio.


Senise, Chiesa San Francesco, 22/08/2024 Francesco Addolorato