ROMA (DIRE) – È salito a oltre 11.000 vittime il bilancio del terremoto che si è verificato nella notte fra domenica e lunedì nel sud della Turchia e nel nord della Siria. Stando alle cifre fornite dall’Autorità per la gestione dei disastri e delle emergenze (Afad) di Ankara, le persone che hanno perso la vita nel sisma in Turchia sono circa 8.500. In Siria invece le vittime sarebbero più di 2.600. In questo caso la cifra è stata fornita da media internazionali mentre i canali del governo di Damasco riportano cifre inferiori, aggiornate a ieri.
Stando a quanto riferito dall’Afad, circa 8mila sopravvissuti sono stati estratti dalle macerie dalle squadre di ricerca e soccorso. L’ente del governo turco ha dispiegato oltre 96mila operatori e ha inviato sul campo più di 5mila mezzi.
Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato uno stato di emergenza di tre mesi in dieci province del Paese. Il capo dello Stato si è recato oggi nelle aree più colpite dalla calamità e per prima a Kahramanmaras, capoluogo dell’omonima provincia dove è stato individuato l’epicentro della prima scossa di magnitudo 7,8 della scala Richter e di una seconda scossa di magnitudo 7,6.
Altre scosse si sono susseguite ieri e l’altro ieri, con epicentri anche in altre province del sud del Paese. Imponente anche il sostegno internazionale ricevuto da Ankara. Stando a quanto riportato dall’agenzia di stampa Anadolu, circa 60 Paesi da cinque continenti hanno inviato aiuti o squadre di ricerca e soccorso nel Paese, fra i quali Stati Uniti, Russia, Cina, Italia e Regno Unito ma anche Paesi in condizioni di difficoltà economica e diffusa insicurezza, come la Libia, che ha inviato 55 persone, e il Libano, che ne ha mandate sul campo 72. Anche Paesi che hanno rapporti diplomatici complessi o assenti con Ankara, come la Grecia e l’Armenia, hanno inviato aiuti e personale. Erevan, stando a quanto affermato dal ministero degli Interni, citato dalla radio pubblica Public Radio of Armenia, ha spedito nel Paese oltre 20 operatori di ricerca e soccorso.
Diversi Paesi hanno annunciato l’invio di aiuti anche verso la Siria, sul cui governo, guidato dal presidente Bashar al-Assad, pesano però sanzioni imposte da parte della comunità internazionale. Secondo l’agenzia di stampa moscovita Novosti, in azione ci sono anche militari russi: avrebbero tratto in salvo almeno 42 persone.
FONTI UE: AIUTI AD ANKARA PERCHÉ HA CHIESTO, SIRIA NO
“Il governo della Turchia ha chiesto aiuto espressamente alle istituzioni europee, mentre quello della Siria no. Per questo il meccanismo di protezione civile dell’Unione europea è stato attivato solo per la Turchia, mentre facciamo arrivare aiuti alla popolazione siriana tramite le ong e gli organismi Onu sul terreno”. Così risponde all’agenzia Dire una fonte interna alla Risposta europea alle emergenze.
Il doppio terremoto che ha colpito lunedì la Turchia e il nord della Siria ha già causato oltre 9mila morti da ambo le parti e, come avverte l’Organizzazione mondiale della sanità, i morti potrebbero arrivare a 20mila. Il freddo, le strade distrutte o piene di macerie rallentano il salvataggio di dispersi e feriti, ma ad ostacolare sono anche le dinamiche geopolitiche che interessano i due Paesi, con possibili ricadute sullo sforzo collettivo che viene richiesto alla comunità internazionale per sostenere le popolazioni colpite dal sisma.
La Turchia sembra essere in una posizione di vantaggio: essere un membro della Nato e un partner strategico dell’Ue hanno permesso al governo del presidente Recep Tayyip Erdogan di contare sull’immediato aiuto dei Paesi tra i più ricchi al mondo: non solo l’Ue ha già inviato 28 squadre tra medici e soccorritori attraverso 21 Stati membri, ma anche gli Stati Uniti stanno partecipando con due squadre specializzate in questo genere di disastri naturali. Il presidente Joe Biden ha infatti subito telefonato all’omologo Erdogan per annunciare “tutta l’assistenza umanitaria” di cui il Paese avrà bisogno.
Erdogan ha anche segnato un punto a suo favore, ricevendo parole di vicinanza e sostegno dal primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis. Tra Turchia e Grecia esistono tuttora tensioni per la questione di Cipro, dei confini marittimi e dello sfruttamento delle risorse di idrocarburi nel Mediterraneo, che si stanno manifestando con una corsa al riarmo navale e rimpalli nell’accoglienza dei profughi che arrivano attraverso l’Egeo.
LA SITUAZIONE SIRIANA
La situazione è invece molto diversa per la Siria. Il Paese è in guerra da 12 anni e il governo del presidente Bashar Al-Assad, che è accusato di bombardamenti sui civili col sostegno della Russia, non solo non dialoga con Stati Uniti e Ue ma è anche soggetto a sanzioni economiche da parte di Washington e Bruxelles, sebbene siano impegnati da anni a sostenere gli organismi umanitari per far fronte alle conseguenze del conflitto. La Comunità di Sant’Egidio è tra gli organismi che hanno chiesto di sospendere tali sanzioni per facilitare l’accesso di aiuti alle popolazioni colpite dal terremoto e anche le Nazioni Unite in queste ore hanno invocato l’apertura di nuovi corridoi, richiesta che sarebbe stata accolta dal Regno Unito, il quale starebbe lavorando per aprire nuove vie dalla Turchia. A garantire aiuti immediati sono stati gli alleati storici di Damasco: Russia, Iran e i Paesi arabi come Egitto, Algeria, Giordania, Tunisia, Emirati Arabi Uniti e Bahrein.
Il problema principale però consiste nel fatto che il terremoto ha colpito anche regioni che sfuggono al controllo di Assad, come il governatorato di Idlib e altre zone poste sotto il controllo di gruppi ribelli a guida siriana, curda oppure poste sotto occupazione della Turchia, come Afrin. Qui, l’Osservatorio siriano per i diritti umani accusa direttamente Ankara di “impedire i soccorsi col pretesto che tutti i veicoli sono impegnati altrove”, e per questo i civili, con i volontari locali, stanno lavorando da soli per estrarre i civili dalle macerie. E ancora: “Non ci sono organizzazioni umanitarie, arabe o internazionali nel distretto di Jenderis- quello tra i più gravemente colpiti dal sisma- a causa del rifiuto da parte delle autorità turche di aprire il valico di Al-Hawa”.
Gli Elmetti bianchi, il corpo di soccorso noto come Syrian Civil defense, attivo nel nord-ovest, sui social condividono l’immagine di uno dei luoghi dei soccorsi dall’alto: cumuli di macerie tra cui si notano fuochi accesi per fare luce ma anche “per le temperature, qui già sotto lo zero”. Nel governatorato di Homs la situazione non è più semplice: “Immaginate di sapere che la vostra famiglia o i vostri amici sono sotto le macerie e voi siete seduti a terra, accanto a ciò che resta di quell’edificio, senza sapere come salvarli” racconta alla Dire Mohammad, un residente di Yalanqoz, un villaggio a nord di Jenderis, che condivide le foto di una famiglia di sei persone – mamma, papà, due sorelline e due cognate – rimaste schiacciate. “Erano i vicini di casa di mio fratello, sono morti senza poter fare nulla” denuncia.
“La nostra priorità ora è estrarre le persone intrappolate e mettere al sicuro i feriti e gli sfollati, assicurando cure e medicine” riferisce infine alla Dire Tommaso Della Longa, portavoce della Federazione internazionale di Croce rossa e mezzaluna rossa (Ifrc). L’organismo si è attivato subito in Siria e Turchia “mobilitando 3 milioni di franchi svizzeri del fondo di emergenza per sostenre la Mezzaluna rossa turca e siriana”. Della Longa continua: “La situazione è terribile in entrambi i Paesi. In Siria, dove siamo in particolare presenti a Hama, Aleppo, Latakiya e Tartous, si aggiungono le difficoltà di un paese da anni in guerra: i mezzi pesanti per rimuovere le macerie sono pochi, quindi è più complicato liberare le strade, che spesso sono state anche distrutte dal sisma. Anche il carburante scarseggia e in alcune zone l’elettricità c’è solo per un’ora al giorno”. Danneggiati anche molti ospedali, a cui la Mezzaluna rossa potrebbe sopperire con le cliniche mobili ma “gli spostamenti sono difficoltosi”, conclude il portavoce.
SAVE THE CHILDREN: BIMBI DORMONO IN AUTO AL FREDDO PER PAURA SCOSSE
Le temperature gelide, le strade e gli aeroporti danneggiati stanno rendendo difficile per le agenzie e le organizzazioni umanitarie il raggiungimento di migliaia di bambini e delle loro famiglie, che hanno un disperato bisogno di assistenza dopo il devastante terremoto di lunedì, ha dichiarato Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e per garantire loro un futuro. Sono ormai migliaia i morti o feriti nel Sud della Turchia e nel Nord-Ovest della Siria, con numeri in continuo aumento e persone ancora intrappolate sotto le macerie.
Save the Children ha attivato la risposta all’emergenza nelle regioni colpite, dove i sopravvissuti hanno un drammatico bisogno di ripari, coperte, cibo e cure mediche, in uno scenario in cui, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa 23 milioni di persone, tra cui circa 1,4 milioni di bambini, potrebbero essere colpite dal terremoto.
In Turchia, secondo gli ultimi dati, sono crollati circa 5.775 edifici in 10 città e la popolazione non riesce ad avere riscaldamento, elettricità, aiuti, acqua potabile e servizi di comunicazione. I bambini stanno vivendo nel terrore. “Mi sono svegliato al suono della TV che cadeva a terra. Ho radunato rapidamente i miei cinque figli e la mia famiglia e ho lasciato l’edificio. Al momento siamo alloggiati in container prefabbricati dove ci sono più di 20 bambini e le loro famiglie che hanno bisogno di aiuto. Non abbiamo accesso a gas, elettricità e servizi di base. Siamo tutti sconvolti. Il figlio di mio cugino ha troppa paura per stare al chiuso e ora dormirà solo in macchina”, ha raccontato Mustafa, 41 anni, di Gaziantep.
Save the Children esprime la propria profonda preoccupazione per le persone che, nel Nord-Ovest della Siria, avevano già dovuto abbandonare le proprie case a causa di un conflitto che dura ormai da quasi 12 anni, e vivono nei campi per sfollati. Sono infatti quasi 3 milioni di sfollati interni nel Nord-Ovest della Siria e 1,8 milioni di persone vivono nei campi dell’area colpita dai terremoti. In queste aree, Save the Children sta lavorando a stretto contatto con le organizzazioni partner per valutare l’entità dei danni man mano che la situazione diventa più chiara e fornire il supporto di cui i bambini hanno bisogno.
“In Siria fa incredibilmente freddo in questo momento. Siamo molto preoccupati: molte persone, compresi i bambini, possono essere ancora intrappolate sotto le macerie, altre sono senza casa e si arrangiano come possono, anche dormendo nelle auto. Siamo particolarmente in ansia per i bambini che dormono all’aperto a temperature gelide- ha dichiarato Kathryn Achilles, Direttore Media e Comunicazione di Save the Children Siria-.
L’entità della devastazione è tale che tutti coloro che vivono nell’area colpita sono coinvolti, inclusi i partner locali di Save the Children e le loro famiglie. Quando anche le persone che si occupano di consegnare gli aiuti umanitari vivono lo stesso dramma di coloro che devono aiutare, diventa ancora più arduo far arrivare nella regione gli aiuti tanto necessari. A causa delle strade danneggiate in tutta la Turchia e in Siria, è incredibilmente difficile raggiungere le aree colpite. La comunità internazionale deve fare tutto il possibile per sostenere gli attori umanitari locali”. In Turchia, Save the Children sta lavorando per valutare i bisogni e ha istituito un team che sosterrà la risposta di emergenza nazionale in tutta la regione, in stretto coordinamento con il governo e le principali parti interessate. Le squadre di Save the Children sul campo stanno pianificando di sostenere le comunità colpite con kit invernali e di emergenza, tra cui coperte e indumenti caldi. Per supportare la risposta all’emergenza di Save the Children, puoi fare una donazione qui: https://www.savethechildren.it/dona-fondo-emergenze#form-start