EDITORIALE – L’opera di cui voglio parlarvi in questo articolo è “La Resurrezione” di Piero della Francesca. L’artista la realizzò a Borgo San Sepolcro fra il 1463 e il 1465 riuscendo mirabilmente a racchiudere in un capolavoro d’arte il più grande mistero del Cristianesimo.
Piero della Francesca fu un artista-umanista, più volte definito un pittore intellettuale, di grande cultura e difficile da interpretare. Le sue opere, molto complesse, suggeriscono sempre diverse letture, sembrano essere impassibilmente razionali, sospese tra arte e studi di geometria, e tengono sempre conto anche di questioni storiche, teologiche e filosofiche. Nel Quattrocento, un’epoca in cui arte e scienza sembravano unite da vincoli profondi, Piero della Francesca fu, come scrisse il matematico Luca Pacioli (1445-1517), un “monarca della pittura”. Egli riuscì mirabilmente a conciliare nelle sue opere diverse caratteristiche dei grandi dell’arte: la prospettiva geometrica di Brunelleschi, il senso del volume di Masaccio, la luminosità di Beato Angelico e di Domenico Veneziano, l’attenzione per il dettaglio e per i particolari tipica dei fiamminghi.
La scena dipinta ne “La Resurrezione” è ambientata oltre un’immaginaria apertura, incorniciata da due colonne scanalate, un basamento (dove era presente un’iscrizione oggi quasi del tutto cancellata) e un architrave; la composizione è piuttosto semplice e geometrica, ma racchiude una forza inaudita che viene espressa dal messaggio di cui si fa portavoce. Quello che viene magistralmente dipinto è il momento mistico e solenne della Resurrezione di Gesù; egli dopo essere stato crocifisso e sepolto sconfigge la morte destandosi dal sonno eterno. Ed è proprio il momento in cui Gesù esce dal sepolcro quello rappresentato da Piero: infatti in una costruzione piramidale abbiamo al vertice di un immaginario triangolo la testa stessa di Cristo, che fa da perno alla composizione, mentre maestoso ed autorevole emerge dal grande sarcofago di pietra, alla base del triangolo invece troviamo il gruppo dei quattro soldati romani addormentati, che avrebbero dovuto vigilare il sepolcro.
Sembra quasi che la scena sia divisa in due metà, una divina l’altra umana, difatti abbiamo due punti di vista differenti uno per le figure dei soldati un altro per la figura di Gesù. Nella metà divina campeggia Cristo in posa ieratica e frontale; la sua è una fisicità perfetta, “atletica”, il suo corpo ci ricorda quello delle statue antiche per bellezza e perfezione, ha un piede poggiato sul bordo del sepolcro, anch’esso realizzato secondo stilemi antichi, dal quale si appresta ad uscire mentre la gamba destra è ancora all’interno del sepolcro. La mano sinistra è piegata per reggere un lembo del manto rosso e su di essa si vede la ferita lasciata dal chiodo utilizzato nella Crocifissione, mentre la mano destra regge il vessillo crociato, emblema del trionfo di Cristo. Molto probabilmente, la scelta di dipingerlo al di fuori delle regole prospettiche, che imporrebbero una veduta dal basso, è voluta da Piero ed è simbolica poiché in questo modo l’artista vuole sottolineare che Cristo è sottratto alle leggi terrene, umane.
Ai suoi piedi, nella parte umana, campeggiano le figure dei quattro soldati romani che avrebbero dovuto sorvegliarne il cadavere, figure dalla monumentale solidità, mostrati con scorci e pose diverse. Fra essi si è soliti riconoscere un autoritratto dell’artista nel soldato senza elmo dove cade l’asta del vessillo trattenuto dal Salvatore; ciò non è un fatto casuale, ma sta ad indicare un collegamento con Dio che è colui che porta ispirazione all’artista. Nelle vesti dei soldati ricorrono quelle caratteristiche di alternanza cromatica tipiche delle opere di Piero: il rosso è alternatamente colore dell’elmo e dei calzari di un soldato e dello scudo di un altro, il verde ricorre nella cotta di uno, nel mantello di un altro e nei calzari del terzo, ecc.
Quella fra la sfera divina e umana non è l’unica divisione presente nell’opera; se si osserva bene quanto rappresentato infatti si nota come la stessa figura di Cristo taglia la composizione a metà ed in particolare divide in due parti diametralmente opposte e contrastanti il paesaggio alle sue spalle, sulla destra abbiamo un paesaggio spoglio, mentre sulla sinistra un paesaggio rigoglioso. Ovviamente questo contrasto fra un luogo morto come da stagione invernale e un luogo pieno di vita come da stagione estiva ha una chiara valenza simbolica, vuole significare sia un’allegoria del ciclo della vita, sia il rinnovamento dell’umanità attraverso la redenzione dei peccati e la nuova vita che la luce della Resurrezione del Cristo ha portato sulla terra.
In ultimo va sottolineato un altro tema molto importante all’interno di quest’opera, il contrasto tra veglia e sonno; nella parte inferiore quella che riguarda la metà terrena ci sono i soldati che sono colti nel sonno perché essendo uomini hanno bisogno di riposo, mentre nella parte superiore quella divina c’è Cristo che essendo divinità è sempre vigile.
La mirabile bellezza dell’opera fu lodata anche dallo scrittore Aldous Huxley che nutriva una sconfinata ammirazione per questo affresco, arrivando a definirlo la più bella pittura del mondo. Pare che proprio le parole di Huxley risparmiarono la città di Borgo San Sepolcro dal bombardamento dell’artiglieria alleata durante la Seconda guerra mondiale. Si racconta infatti che nonostante fu ordinato il cannoneggiamento della città il capitano britannico Anthony Clarke interruppe il fuoco, dopo essersi ricordato dello scritto di Huxley, proprio per non danneggiare la più bella pittura del mondo.
L’opera La Resurrezione è da intendersi come divulgatrice di un messaggio di rinascita, rappresenta la vita che non si arrende. Voglio, in vista della Pasqua, che l’opera funga per tutti voi come un augurio da parte mia di buon auspicio, di speranza. Mai come in questo periodo, è necessario che La Resurrezione rappresenti l’idea che ci sarà un dopo e che torneremo ancora ad essere felici sotto il cielo dell’Italia.