EDITORIALE – Quell’anno l’inverno passa più velocemente e senza eccessive difficoltà. Anche la primavera non si fa attendere a lungo. Già a fine marzo, si avvertono i primi segni del risveglio della natura: le gemme che s’ingrossano sui rami, le margherite nei campi, le viole tra le siepi, i primi germogli del grano, l’aria più mite, la neve che si va man mano sciogliendo sui monti e sulle colline circostanti.
Nelle belle giornate di sole, Lina e i suoi alunni escono all’aperto. Spesso s’inerpicano per un sentiero che conduce a “nu pitazzu” , un grande spiazzo erboso. Qui si siedono sull’erba e svolgono le loro attività scolastiche, allietati da una leggera brezza e dal cinguettio degli uccelli.
A maggio si conclude l’anno scolastico. La maestra Lina saluta affettuosamente scolari e genitori, con la promessa che ritornerà in ottobre.
Intanto fervono i preparativi per il pellegrinaggio al Sacro Monte di Novi Velia. Tutti in famiglia vorrebbero partecipare, ma il viaggio è lungo e faticoso: bisogna ben valutare le forze e la resistenza di ognuno. Pascale e Filuccia sono anziani, i bambini più piccoli si stancherebbero. Dopo varie discussioni, si decide che andranno Minicuccia, Pietro, Michelina e Rinuccia. Filuccia e gli altri fratelli faranno compagnia ai nonni.
La partenza è fissata per il quattordici giugno, il giorno dopo la festa di S. Antonio.
In famiglia tutti collaborano alla preparazione delle “cinte”, doni votivi di varie forme, costituite da un consistente numero di candele e decorate con fiori e nastri colorati. Al centro: l’immagine della Madonna.
Da Mazzaredda si parte di notte per essere puntuali al raduno di tutti i fedeli “d’u castiddu” , alle sei, davanti al Convento dei Cappuccini.
Il numeroso corteo avanza, preceduto dallo stendardo e dalle “cinte”, portate sulla testa dalle donne. Alla Croce di Santa Caterina, nella contrada Seta, c’è l’incontro con i fedeli “d’u burgu” . Si cammina per due giorni di seguito, facendo varie soste. La più lunga è quella di Torre Orsaia, dove si pernotta.
Accompagnati dal suono delle zampogne e degli organetti, tutti in coro cantano:
“Cu vo’ grazia da Maria ‘ncapu ‘u munte adda vinì.
Maria nui mo vinìmu e tu n’haia dà cunfortu,
Maria àprini li porti ca nui ama trasì.
Mo mi partu e partu sicùru e ‘mpittu portu a toia figùra,
e sempi ‘mpittu a vogliu purtà, sempi a Maria io vogliu chiamà” .
L’ultimo tratto in salita è veramente faticoso. Ma alla vista del santuario, la stanchezza lascia il posto alla gioia ed all’emozione di poter finalmente affidare alla Vergine le proprie preghiere e speranze. Prima di entrare si fanno sette giri intorno alle mura della chiesa. La tradizione vuole che sia il più giovane della compagnia ad entrare per primo, con una Bibbia aperta tra le mani, seguito dai suonatori, dal portatore dello stendardo, dalle donne con le “cinte” e dagli altri componenti del gruppo. L’ingresso è accompagnato dal canto:
“Madonna tantu cara ca stai ‘nta sta muntagna,
accogli sta cumpagnia, grazie Madonna mia” .
Al termine della celebrazione la compagnia si trattiene sul sagrato. Suoni e canti risuonano nell’aria che si ammanta di un’atmosfera magica, il cui fascino è reso ancora più intenso dallo splendido panorama e dal forte legame che si ha con questo posto. Il mattino dopo, prima di intraprendere il viaggio di ritorno, si rientra in chiesa per l’ultimo saluto. Si esce senza voltare le spalle alla Madonna.
Lungo il cammino si suona e si canta.
“Maria mo mi parto, non so si cchiù ritorno,
ma se, Maria, non torno non ti scordar di me.
Simu vinùti e mo ni ni iamu, come facìmu senza di te?
Maria risponne: io vi accumpagnu, sotto il mio manto vi porterò.
Mo ni ni iamu a li nostre case, cu ‘ngi vo trasi senza di te?
Maria risponne: io vi accumpagnu, sotto al mio manto vi porterò.
E cu tutta sta cumpagnia statti bona Madonna mia.
E sempi ludata tu sia, vinìmu du Munnu Sagratu i Maria” .
Minicuccia e Pietro si sono soffermati a lungo, in ginocchio, davanti alla Madonna, ringraziandola per il felice esito della caduta di Mattiucciu. Depongono ai suoi piedi un foglietto scritto dal bambino: “Madonnina mia, grazzie pi ‘a grazzia ca mai fattu.” Poi pregano perchè la Vergine protegga la loro famiglia. In silenzio, Minicuccia rivolge alla Madonna un pensiero che, in segreto, mamma Filuccia le ha affidato.
Al ritorno a Mazzaredda, la vita riprende il suo ritmo abituale. Ma nel cuore dei quattro pellegrini c’è una grande serenità, che trasmettono a tutta la famiglia. Michelina, in più, ha una luce nuova negli occhi, si mostra particolarmente gioiosa ed attiva. Il motivo è l’incontro con Filippo, un giovane di Pietraferrata, che ha conosciuto, la sera, davanti alla santuario della Madonna. Il giovane l’ha invitata a ballare e da quel momento non si sono più separati. Durante il viaggio di ritorno hanno chiacchierato a lungo, instaurando subito un’intesa ed una simpatia reciproche. Minicuccia e Pietro si sono guardati senza parlare, accennando un lieve sorriso. Anche se ad una certa distanza, li hanno seguiti non perdendoli mai di vista. Anzi, Minicuccia ha chiesto a Pietro di non allontanarsi: “megliu quatt’ucchi ca dui”.
Rinuccia ha commentato: “Si su rosi fiurirannu”.
(CONTINUA…)