EDITORIALE – Rinuccia e Minicuccia, dopo averle arrotolate, mettono in testa due “spariceddi”. Sopra vi poggiano le “bagnarole” con la biancheria e si avviano verso “’u Pisciulone”.
Anche oggi è una giornata splendida. Il verde dei prati e l’azzurro del cielo sono così luminosi da sembrare dipinti con lo smalto. L’aria è frizzante e tersa, e la rugiada si asciuga pigramente sulle foglie degli alberi.
Ancora a diversi metri di distanza, odono un vocìo ed un chiacchiericcio che va man mano aumentando: sono altre donne della zona che lavano panni.
Rinuccia, prevedendo pettegolezzi suscitati da gelosie ed invidie, consiglia Minicuccia di non parlare molto, specialmente del suo fidanzamento, perchè “cu vo campà ‘mpace vid’, sent’ e tace”.
Al loro arrivo, succede una cosa strana: tutte zittiscono all’improvviso e si mostrano impegnate nel loro lavoro. C’è anche Cicchina, la vicina di casa, che certamente ha avuto modo di notare, il giorno prima, l’arrivo degli ospiti ed ha riferito tutto ciò che ha visto.
Le due sorelle salutano cordialmente e si danno da fare per risciacquare la biancheria.
Intanto alcune intonano dei canti. Cicchina ha notato l’anello al dito di Minicuccia e, non riuscendo a trattenere l’invidia, dice ad alta voce e con rabbia, quasi cantando: “ricchizza e furtuna cangianu com’a luna”. Molte giovani fidanzate o già felicemente sposate non riescono a frenare il loro disappunto per questa esplicita invettiva di una “zitella” cattiva e malvagia. Si avvicinano a Minicuccia e, nel farle gli auguri, le dicono: “megliu esse mmidiati ca cumpatuti”.
Cicchina, forte anche dell’appoggio di altre sue amiche che la imitano, si allontana a testa alta, cantando a squarciagola stornelli offensivi e irriverenti contro Minicuccia.
Pascale si dà subito da fare per ristrutturare la vecchia casa dei genitori. Con il fratello fa un sopralluogo per valutare i danni e fare una stima delle spese da affrontare. Compreranno il materiale da costruzione presso una cava che si trova nella zona.
Filuccia intanto si preoccupa del corredo. Va a trovare un’anziana “cummara”, Ciccuzza, che tesse al telaio per chiederle di fare coperte, asciugamani, tovaglie, strofinacci. Ciccuzza è considerata e stimata nella zona anche per le sue capacità di “mammana”, esperta nel far nascere i bambini. Altri capi li acquisterà “nda putia i Fifina”, che certamente le farà un buon prezzo. Sono anni che ogni volta che scende in paese le porta in regalo formaggio, ricotta, uova e ortaggi vari. Filuccia sa che prima o poi le sue cortesie saranno ricambiate: “nun si fa ninti pi ninti”.
Pietro, ogni sabato, arriva a Mazzaredda. Parte presto la mattina. Si reca direttamente alla vecchia casa dei nonni per essere di aiuto nei lavori di ristrutturazione. Ad una certa ora arriva, puntuale, Minicuccia con un grande “stiavuccu”, che contiene il pranzo per tre persone. E’ quello il momento più bello per i due fidanzati. Pietro la vede arrivare e le va incontro per liberarla dal pesante fagotto che porta in bilico sulla testa. I due giovani si guardano per qualche istante. Sono così felici che non riescono a dire una parola. Le loro mani si cercano, poi si lasciano per scambiarsi tenere carezze, in un crescendo di affettuosità, che accelera il battito dei loro cuori, fino a ritrovarsi stretti in un caloroso ed intenso abbraccio. Sono queste le uniche effusioni di affetto e di tenerezza. Mamma Filuccia è sempre presente, sia in famiglia che quando si va a casa di amici o parenti. Durante la prima visita di Pietro espresse il suo pensiero senza giri di parole: “A amici e cumpari si parla chiaru: nun vogliu vidi mossi, nun ama fa parlà ‘a genti” . A Pascale, che le fece osservare di essere stata forse un po’ troppo severa, rispose: “Guardati ‘u tuiu ca nun fai mali a nisciunu”. E poi aggiunse: Pascà, a paglia vicin’ u fucu appiccia”.
Spesso, il sabato, dopo aver cenato, si va tutti insieme a casa di amici o parenti per la serenata, una festicciola rallegrata dal suono dell’organetto o della fisarmonica e da allegre danze. Molti incontri tra giovani avvengono proprio durante queste serate.
Intanto in famiglia, già da qualche tempo, si parla di andare a Trecchina per una visita ai parenti di Pietro. Si decide per la seconda domenica di maggio. Dopo la messa a Lauria, Pascale, Filuccia, Rinuccia e Minicuccia, insieme agli amici del paese, proseguiranno il viaggio, in modo da arrivare per l’ora di pranzo.
Minicuccia conta i giorni, anche perchè finalmente indosserà il suo primo vestito nuovo cucito, apposta per lei, da una zia sarta.
Quella domenica inizia bene: è una giornata splendente di sole, con poche nuvole bianche e gonfie nel cielo azzurro.
Minicuccia è radiosa: ha lavato i lunghi capelli e li ha annodati dietro, coprendo il “tuppo” con un bellissimo fermaglio realizzato dalla zia con la stessa stoffa del vestito. Le scarpe sono quelle di Rinuccia, ancora nuove, avendole messe poche volte a causa della repentina crescita del piede. L’abito è perfetto: sullo sfondo azzurro sono stampati dei piccoli pois di vario colore; il corpetto aderente e la gonna leggermente svasata mettono in risalto un fisico perfetto.
Cicchina, la vicina di casa invidiosa, vedendoli passare, non può fare a meno di mormorare: “Visti zippone ca pare barone”. Tutti tacciono, facendo finta di non aver sentito: “cu fingi e tace, ama ‘a pace”.
Davanti alla chiesa madre di San Nicola trovano gli amici, che non possono fare a meno di ammirare le due giovani donne e di fare loro sinceri complimenti. Dopo la messa, scendendo per il Carroso e percorrendo varie scorciatoie, si ritrovano, in poco tempo, alla periferia di Trecchina. L’ultimo tratto è in salita, essendo la casa situata su un pianoro, dal quale si domina l’intera Valle del Noce. E’ una grande abitazione a piano terra, circondata da un ampio terreno interamente recintato. Vi si accede attraverso un grande cancello in ferro battuto, davanti al quale sono in attesa tanti parenti: i genitori, mamma Michelina e papà Giovannino, i figli Pietro, Carminuccio e Giulietta, gli zii e i cugini paterni e materni. Dopo vari baci ed abbracci e tra un accavallarsi di voci, l’allegra comitiva entra in casa. In un’ampia cucina è imbandita una lunga tavola. Prima di iniziare il pranzo, Michelina dà in dono alla giovane nuora una parure d’oro: laccetto e orecchini. Minicuccia subito li indossa e, visibilmente emozionata, ringrazia ed abbraccia la suocera.
Si mangia, si ride e si scherza, in un clima di grande cordialità e amicizia. I più silenziosi sono Pietro e Minicuccia. Non fanno altro che guardarsi e sorridersi. Papà Giovannino è molto emozionato ed ammirato dalle doti fisiche e dai modi garbati di Minicuccia. Michelina gliene aveva parlato tanto e così bene che gli sembrava già di conoscerla. Tutto ciò che gli ha detto è vero!
Si è ormai quasi alla fine del pranzo, quando Giovannino si alza e, con il bicchiere colmo di vino, annuncia di volere fare un brindisi. Tutti tacciono. Alzando in alto il bicchiere, dice solennemente:
“Amu vivudu e amu magnadu,
amu ridutu e amu puru parladu.
Mo a nu juorn’ ama pensà,
quannu Pietro e Minicuccia s’ana spusà”.
Tutti battono le mani. Segue un chiacchiericcio, dal quale emerge la voce decisa di mamma Filuccia, che informa sullo stato dei lavori di ristrutturazione della casa e sul corredo, che è ormai quasi pronto. Mamma Michelina, sommessamente, dice: “Ogni timpu vene”. Lei è felice, ma un pensiero la rattrista un po’: sa che Pietro andrà via dalla sua casa e non lo potrà vedere tutti i giorni, come accade adesso.
Dopo varie discussioni e sentito anche il parere dei fidanzati, si decide per domenica, quindici settembre.
Tutto sembra svolgersi secondo un copione prestabilito, ma l’unica cosa prevedibile della vita è la sua imprevedibilità. Niente faceva presagire ciò che sarebbe accaduto da lì a poco.
Papà Giovannino è ancora in piedi con il bicchiere in mano, quando all’improvviso cade a terra con un fragoroso tonfo. Segue un primo momento di smarrimento, poi tutti si alzano e si danno da fare per distenderlo compostamente sul pavimento. E’ pallido e gocce di sudore gli imperlano la fronte. Dopo qualche attimo apre gli occhi, mentre un’espressione di grande sofferenza affiora sul viso.
“Adduv’ te fa ddole?”, gli chiede Pietro. Con fatica solleva il braccio e si tocca il petto. Michelina piange sommessamente, incapace di agire. Filuccia la conforta: “statti calma, mo si ripiglia, sarà statu u vinu e ‘u piaciru d’u matrimoniu” .
Intanto qualcuno corre a chiamare il medico, che abita al centro del paese. Nell’attesa, Giovannino fa segno a Pietro e a Minicuccia di avvicinarsi. Con grande sforzo, riesce a dire in maniera appena percettibile: “V’avida spusà ‘u juorn’ c’amu ditto: ‘u quinnici settembr’. Vi binidico e vi fazzu l’aguriu di na bona sort’ ” . Il medico conosce le condizioni di salute del suo paziente, sa bene che un altro infarto sarebbe stato fatale. Quando arriva, infatti, non può fare altro che constatare la morte appena avvenuta.
Michelina non regge al grande dolore e sviene. Il medico ordina di allontanarla e di stenderla sul letto, mentre prepara una iniezione. Qualcuno mormora: “Supr ‘u cuttu l’acqua vudduta”.
Sembra incredibile come la vita possa cambiare nel giro di pochi istanti. Da una situazione di grande allegria e di gioia si può passare ad un’altra di grande dolore e di sconforto.
Minicuccia, anche a distanza di anni, ricorda questo triste avvenimento come uno dei più dolorosi della sua vita. Lo ha raccontato più volte ai suoi figli, non tralasciando alcun particolare: tutto è rimasto scolpito indelebilmente nella sua mente e nel suo cuore.
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