EDITORIALE – Grugniti ed alti strilli svegliano, in questo periodo, gli abitanti della contrada: a turno, le famiglie ammazzano il maiale. Aiutandosi a vicenda, uomini e donne sono impegnati per tutto il mese di gennaio. In ogni casa già dal giorno prima si prepara tutto l’occorrente: lunghe tavole, ganci di ferro, coltelli e recipienti di varia misura, tovaglie, spare e sparicedd’.
Dopo avergli legato le zampe, il maiale viene appeso ad una trave di legno con un grosso gancio. Lunghi ed acuminati coltelli gli trafiggono la gola, dalla quale sgorgano flutti di sangue, che le donne provvedono a raccogliere in appositi recipienti di rame. Quel sangue servirà per fare il sanguinaccio.
Nel giorno dell’uccisione, gli uomini svolgono un grande lavoro: bisogna squartare, togliere le interiora, scotennare. Le donne si danno da fare per suddividere, lavare e sistemare i vari organi: niente va buttato, neanche le setole.
La carne va lasciata raffreddare per qualche giorno prima di fare supirsat’, zozicchie, ‘nzugna, frittul’ e frittulazz’, lungaredda, capicudd’, prusutt’ .
L’evento è un’occasione per incontrare parenti ed amici con i quali condividere momenti di lavoro ma anche di allegria. A sera si imbandisce una grande tavolata: si mangia carne a volontà arrostita sulla brace e si beve il vino nuovo, spillato dalla botte l’otto dicembre, giorno dell’Immacolata, chiamata appunto “Madonna ‘i spirtusavutta”.
E’ il tredici gennaio. Zio Pascale e zia Filuccia sono svegli dalle quattro per sistemare le ultime cose prima che arrivino gli amici accidipurciddi.
Minicuccia non ha dormito tutta la notte, per due motivi: ogni anno lei si affeziona al suo maialino e le si strazia il cuore sentirlo strillare, inoltre è trepidante per l’attesa degli amici del paese invitati dalla famiglia tramite un vicino di casa che, una volta a settimana, scende nel centro abitato per vendere ricotte e formaggi. In cuor suo spera tanto che con loro venga Pietro.
Con la scusa di riempire “’u varrilu ”, si reca a “ ’u Pisciulunu” per vedere, dall’alto, se gruppetti di persone avanzano verso la loro casa. La giornata è gelida, ma limpida: lo sguardo può spaziare oltre le colline, fino all’ampia valle.
Pur con il sole negli occhi, riesce a notare una piccola macchia scura in movimento, che, avanzando, s’ingrandisce man mano, assumendo contorni sempre più nitidi.
“Sì, su persone!” grida felice. Con “u varrilu” in bilico sulla testa, affretta il passo e, in un baleno, è a casa.
Per fortuna il maiale è già stato ammazzato: non avrebbe potuto assistere ad una scena così cruenta!
Nell’ampio locale collegato alla casa c’è un gran trambusto: uomini e donne sono molto indaffarati. L’atmosfera allegra è resa ancor più gioiosa dalle grida e dalle risate dei bambini, che giocano a “ammuccia ammuccia”, intralciando il lavoro degli adulti, che spesso se li ritrovano tra i piedi.
Minicuccia, poggiato “ ‘u varrilu” su due assi di ferro sporgenti dalla parete, va dietro la tenda dove c’è il letto con il comodino che divide con Rinuccia. Dal cassetto prende il pettine ed uno specchietto, si sistema i capelli, poi cerca di tirare un po’ su il seno e la gonna, scoprendo le belle gambe un po’ più in alto della caviglia, indossa un paio di orecchini d’oro avuti in regalo dalla nonna il giorno della Prima Comunione.
Intanto voci nuove provengono dall’esterno: sono giunti gli ospiti. Minicuccia non osa uscire: l’emozione la paralizza! È Rinuccia a chiamarla.
Lentamente si muove, con il cuore che batte a mille. Appena varcata la soglia, lo vede. E’ in disparte, poggiato ad un carretto, con lo sguardo che vaga. Minicuccia lo osserva per un po’. E’ proprio bello, Pietro! I capelli sono mossi e neri. La barba appena accennata nasconde il mento, ma mette in risalto gli occhi castani, incorniciati da folte sopracciglia. Il fisico è forte e muscoloso. Minicuccia sente lo stomaco farle una capriola. Per un attimo, che sembra infinito, i due giovani rimangono a fissarsi in silenzio.
Nella confusione del momento, tra vari baci ed abbracci, qualcuno invita Pietro ad entrare nel locale, dove alcuni uomini sono alle prese con la testa del maiale: gli stanno mettendo in bocca una grossa arancia.
Minicuccia ha bisogno di bere un sorso d’acqua, è molto emozionata. Sta per rientrare in casa quando, girando lo sguardo, vede Cicchinu che avanza in compagnia di zia Catarina e di ziu Biasu. “L’erva ca nun vui ti nasce a l’urtu”.
“Hanno ‘ngiarmatu tuttu mamma Filuccia e li zii” pensa Minicuccia. La gioia e l’emozione di qualche attimo prima lasciano il posto ad una grande rabbia. Per fortuna ci sono in famiglia due persone più comprensive: tata e Rinuccia. È a loro che si rivolge per sfogare il suo disappunto e la sua collera. Anche per loro, tuttavia, non sarà facile convincere Filuccia: è lei che comanda in casa, che decide per tutti.
Pascale ha già cercato di farla ragionare, dicendole: “Quann’ dui si vonu, cintu nun ci ponu”. Ma lei: “Cicchinu è da zona nosta, canuscimu a iddu e a li parinti, è riccu. ‘Ngì vulera… c’averema cangià assu pi figura!” .
Mamma Filuccia riserva agli ospiti una calorosa accoglienza. Non si è ancora accorta della presenza di Pietro. Minicuccia assiste da lontano. Ricordava Cicchinu vagamente, avendolo incontrato a casa degli zii alcuni anni fa. Allora era ancora un ragazzino, ora è un giovanotto, in verità non molto cresciuto: è basso di statura e tarchiato, radi capelli sulla fronte fanno pensare ad una incipiente calvizie.
Mentre osserva, sente dei passi alle spalle. È Pietro. Per alcuni istanti si guardano senza parlare, ma in quel silenzio ci sono mille parole, mille domande, mille risposte. E’ Pietro che finalmente esclama: “L’omu p’a parola, ‘u voiu pi li corn’ ”. T’avia prumisu ca ti vinia a truvà e su vinutu!”.
Minicuccia, senza pensarci neanche un secondo, gli risponde: “ M’ hai fattu spantecà pi ti vide…”, per sottolineare la sua lunga attesa.
Pietro aveva vissuto, negli ultimi mesi, seri problemi in famiglia. Mentre il padre si riprendeva da una lunga e pesante malattia ai polmoni che aveva interessato anche il cuore, era morta la nonna che abitava in casa con loro. Minicuccia ascolta il suo racconto, poi timidamente e furtivamente, sfiorandogli la mano, per trasmettergli tutto il suo dispiacere e la sua comprensione, gli dice: “Li guai nun venunu mai suli”.
Insieme, i due giovani entrano in casa. Tutti li guardano: sono proprio una bella coppia! Mamma Filuccia rimane senza parole: il suo sguardo va dalla coppia a Cicchinu, poi, silenziosamente e con rabbia, dice al marito: “A lavà ‘a capu a ‘u ciucciu ‘ngi pirdi acqua e sapune!”. Pascale cerca di calmarla, rassicurandola sulle buone qualità del giovane. Gli amici del paese gli hanno parlato bene di Pietro: è‘nu bravu giuvene, fatigaturu e turnisiddu” . E poi, mettendole un braccio sulle spalle, le ripete: “Filù, quann’ dui si vonu, cintu nun ci ponu!”.
Filuccia lo guarda rassegnata e, con le lacrime agli occhi e con tanta tristezza nella voce, risponde: “ Sarrera stata come ‘u vermu ‘ndu ‘u casu!”.
La giornata prosegue allegramente. Nessuno sa della proposta di fidanzamento di Cicchinu, che improvvisamente scompare dalla scena.
A sera, quando tutti gli impegni sono stati assolti, arriva “cumpa Nicola” con “’u mandacettu”. L’allegria esplode, incoraggiata anche dai numerosi bicchieri di vino che hanno accompagnato il lauto pranzo.
Tutti, uomini, donne e bambini cantano:
“Oi frunna d’accia, io pi ti ni vau paccia,
stu visu ca tini ‘nfaccia m’ha fattu ‘nnammurà.
Maria mariola m’hai arrubbata ‘a cammisola.
Una vecchia e una nova, Maria mariola.
Nicola oi Nicola nun gi ì ca nun ti vole,
ngì pirdirai li passi e li suspiri cu li parole”
(CONTINUA…)