EDITORIALE – Ormai è trascorso quasi un anno dal primo incontro tra Minicuccia e Pietro. Si sono incontrati poche volte, ma sono state sufficienti per capire che non solo sono attratti fisicamente, ma sono anche simili per modi di agire e di pensare. Pietro ricorda le parole della nonna, da poco deceduta, alla quale aveva tanto parlato di Minicuccia:
“Figliu miu, cu s’assumiglia si piglia”. Quel giorno la nonna gli diede il suo anello di fidanzamento, perchè lo donasse alla sua futura sposa.
L’Inverno fa sentire ancora i suoi rigori, ma si respira già un’aria particolare, che preannuncia la Primavera. Le giornate si sono allungate e la neve imbianca solo le cime dei monti.
E’ una domenica di inizio Aprile. Minicuccia non ha dormito tutta la notte: è agitata, ha la sensazione che debba accadere qualcosa. Senza muoversi dal letto guarda fuori dalla finestra: il buio è stato scacciato dalle prime luci dell’alba. Anche se il sole non ha fatto capolino dalle cime imbiancate, non c’è una nuvola e la giornata si prospetta perfetta. “’U bongiorno si vide d’a matina” pensa e spera Minicuccia.
Mentre tutti dormono, lei si alza silenziosamente, cercando di non disturbare Rinuccia con la quale condivide lo stesso letto. Accende il fuoco e prepara l’orzo da aggiungere al latte per la colazione di tutta la famiglia. Nelle tazze spezzetta il pane raffermo. È un piacere iniziare la giornata con una buona “zuppa”, perché “saccu vacandu nun si rei a l’erta”. Mamma Filuccia compare dopo un po’ ed annuncia:
“Oj ama fa ‘a lissia, ca ‘u timpu è bunu”.
Si prepara l’occorrente: il tino di forma cilindrica con alla base un piccolo foro, la cenere di cerro e l’acqua bollente. Rinuccia sistema le lenzuola nel tino, poi deposita sopra la cenere, mentre Minicuccia versa l’acqua bollente che, filtrando, deterge. L’acqua sporca viene poi espulsa pian piano dal piccolo foro. Il giorno dopo, i panni verranno portati a “’U Pisciulunu” per risciacquarli.
Intanto papà Pascale porta al pascolo gli animali. Di solito si reca, con lo stiavuccu appeso ad un bastone poggiato sulla spalla, su un pianoro poco distante, dove l’erba è sempre abbondante. Ritornerà nel pomeriggio, al tramonto.
Matalena, ‘Ndoniu e Vicinzu stanno ancora mangiando la “zuppa”, quando dall’esterno provengono delle voci, tra cui quella di Pascale, che, a quell’ora dovrebbe essere da tempo sul pianoro. In silenzio, tutti si guardano: non capiscono perché tata sia ritornato, né chi siano le persone con le quali parla. Minicuccia, come un fulmine, si precipita fuori, mentre un’idea improvvisa le fa battere il cuore a mille.
Rimane immobile sull’uscio e senza parola.
Accompagnati da Pascale, che li ha visti sopraggiungere dall’alto e che è andato loro incontro, avanzano Pietro, Luigi e Nunziata, i due amici del paese, e un’altra donna. Sopraggiungono sull’uscio anche mamma Filuccia e Rinuccia che, capito di chi si tratta, subito rientrano e si danno da fare per togliere in parte il disordine causato dalla “lissia”. Filuccia lo ripete sempre alle sue figlie: “scopa ‘a casa ca nun sai cu trase , fatti ‘u littu ca nun sai cu aspitti”.
Gli ospiti entrano in casa, accolti con entusiasmo e tante premure.
Filuccia, preoccupata, chiede: “Siti stanchi, aviti fatta tanta via!”
Nunziata risponde a nome di tutti: “Simu partuti cu a notte, facìa friddu, mo simu nu pocu stanchi….ma adduvi ‘ng’è gustu nun ‘ng’è perdenza!”
L’altra donna è la mamma di Pietro. Si chiama Michelina. A guardarla bene fa tenerezza: piccola di statura e magra, si mostra timida ed impacciata, con un dolce sorriso che le illumina un viso dai lineamenti perfetti. Se non fosse per qualche ruga sulla fronte ed agli angoli degli occhi, sembrerebbe una ragazzina, “ma ciucciu è e pudditru pare ”.Mamma Filuccia si dà subito da fare: mette la “buffettina” al centro della cucina e prende di tutto: pane, salame, prosciutto, vari tipi di formaggio, ricotta, vino.
Dopo tanto cammino, non manca l’appetito. Si mangia e si parla in maniera allegra e confidenziale. Michelina accenna a qualche usanza e tradizione di Trecchina. Tutti ascoltano interessati, per poi concludere: “tuttu ‘u munnu è paisi ”.
Minicuccia e Pietro sono i più silenziosi: si scambiano sguardi che esprimono gioia, emozione, tenerezza, affetto.
Michelina li osserva felice. Minicuccia è una bella giovane, le piace, è proprio la compagna giusta per il suo Pietro. Con la voce rotta dalla commozione, trova il coraggio di dire: “nui sum’ venudi pecchè volemo ca Pietro e Minicuccia s’ ana spusà” .
Dopo qualche attimo di silenzio, papà Pascale esprime il suo consenso e, guardando i due giovani, aggiunge: “matrimoni e viscuvati su’ da Diu distinati”.
Minicuccia non riesce a trattenere le lacrime. Tutti la guardano preoccupati, ma lei
si affretta a dire: “No, no, su cuntenta, mi sentu ‘m paravisu pi scangiu”.
Pietro tira un sospiro di sollievo e, felice, prende dalla tasca una scatoletta di velluto, la apre e ne estrae l’anello della nonna, che mette al dito di Minicuccia.
Ormai i due giovani sono ufficialmente fidanzati.
I genitori discutono per definire alcuni aspetti inerenti alla casa, al corredo, alla dote, agli incontri dei fidanzati in giorni ed orari stabiliti.
A ridosso della casa, su una collina, circondata da alberi secolari, vi è una vecchia abitazione dove vivevano i nonni paterni. Papà Pascale promette che, con l’aiuto di un suo fratello muratore, provvederà a ristrutturarla a sue spese. Sarà questa la dote per la figlia. Mamma Filuccia si impegna per un corredo “a venti”. Si scusa per non poter fare di più, avendo altre figlie femmine. Mamma Michelina ringrazia e promette di occuparsi lei del mobilio: un suo parente falegname, stimato artigiano, realizzerà tutti i mobili che occorreranno per arredare la casa.
Pietro, che fino a quel momento non ha aperto bocca, chiede educatamente a mamma Filuccia quando potrà incontrarsi con Minicuccia. Si stabilisce il sabato pomeriggio. Poichè il viaggio è lungo, papà Pascale propone di rimanere anche la domenica, in modo da dare un aiuto al fratello per la ristrutturazione della casa. Dormirà nel locale degli attrezzi, attiguo alla stalla.
Il sole è ancora alto all’orizzonte, quando gli ospiti decidono di riprendere il viaggio di ritorno. La strada è lunga e sperano di arrivare prima che sia notte fonda.
Minicuccia e Pietro non hanno avuto la possibilità di parlarsi, né tantomeno di sfiorarsi. Sono, tuttavia, felici. Sono bastati gli sguardi d’intesa e di amorevole complicità.
Dopo la notte insonne e le emozioni della giornata, Minicuccia va a letto presto, cadendo in un sonno profondo. Appena sveglia, all’alba, la percezione dell’anello al dito la riempie di una gioia immensa. Lo gira e lo rigira, ne palpa i contorni: bellissimo quel cerchietto d’oro con al centro un piccolo cuore tutto ricoperto di perline rosse! E’ così felice che non riesce a rimanere ferma nel letto, avverte il bisogno di muoversi, di agire. Se potesse, griderebbe la sua felicità, affidandola al vento con la speranza che giunga al suo amato.
Si alza piano per non disturbare Rinuccia. Filuccia è già in cucina per completare la “lissia”. L’acqua sporca ormai è tutta in una bacinella poggiata in corrispondenza del foro della tinozza. Mamma e figlia mettono la biancheria in due “bagnarole” di zinco. Più tardi bisognerà andare a “u Pisciulone” per il risciacquo.
Filuccia nota l’espressione felice della figlia e ne è contenta. In cuor suo, tuttavia, rimane il rammarico per Cicchinu, che le avrebbe assicurato un’ottima posizione economica. Essendo una donna pratica e realista, rimane convinta del fatto che “quann’a fame tras’ da porta, amore esse d’a finestra”.
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