EDITORIALE – L’esistenza umana, intanto, tra gioie e dolori, continua inesorabilmente il suo corso. Bisogna andare avanti, non si può fare nulla per cambiare gli eventi: “o ti mangi sta m’nestra o ti mini p’a f’nesta”.
Le due famiglie, dopo il primo mese di lutto stretto, riprendono a parlare del matrimonio. Rimane confermata la data del 15 settembre: bisogna rispettare la volontà di papà Giovannino.
E’ una calda giornata di fine agosto. La casa è ormai pronta. Pietro e lo zio arrivano con i mobili caricati su un carretto trainato da due asini. Minicuccia e Rinuccia hanno impiegato una settimana per le pulizie. Ora è tutto lucido. All’ingresso, in un’aiuola che delimita la casa, sono stati piantati fiori di vario tipo e dai colori variopinti, che danno una nota di allegria e di speranza.
Pietro e lo zio lavorano tutto il giorno per montare il mobilio. A sera, la casa è veramente accogliente e molto graziosa: il “nido” ideale per una giovane coppia.
Ora tocca alle donne portare il corredo e sistemarlo nei cassetti dell’armadio e del comò. Manca ormai una settimana. La zia Assunta, dopo varie prove, ha terminato l’abito.
I preparativi fervono: tutti hanno un compito da svolgere.
Si decide di fare il letto il giovedì precedente il grande giorno. Già dalle prime ore del mattino, Minicuccia, Filuccia e Rinuccia hanno esposto il corredo su due grandi cassapanche di legno e hanno preparato la biancheria per il letto. La più attiva è Rinuccia: va avanti e indietro dalla casa paterna a quella degli sposi, prepara “li guandiri cu biscuttini e pizzitti” , i bicchierini e i rosoli fatti in casa, riordina, spolvera, lava: è instancabile, “teni sette spiriti com’ li gatt’”. Minicuccia le è riconoscente e, dandole un colpetto sulla spalla, la ringrazia. Ma lei, pur commossa, risponde in maniera burbera: “Adduv’ ‘ng è gustu nun ‘ng‘ è p’rdenza”.
Nel primo pomeriggio arrivano i parenti da Trecchina, gli zii e i cugini di Canicedda, alcuni amici e vicini di casa.
Tutte le donne ammirano il corredo, apprezzano il valore e l’utilità dei vari capi e fanno i complimenti a mamma Filuccia. Sui materassi gonfi di lana vengono distesi le lenzuola e un copriletto tessuto al telaio con delle grandi rose al centro, ricamate da Rinuccia, e con un merletto ai bordi lavorato all’uncinetto da Minicuccia. E’ il risultato di un lavoro di tutti i giorni durato, con perseveranza, tutta l’estate. Si dice bene: “a acini a acini s’accoglie a macina”.
Il letto è pronto. Michelina, visibilmente commossa, abbraccia Minicuccia e Pietro, poi mette sul letto una busta contenente soldi: sono i risparmi della “bonanima” di Giovannino. Dopo di lei, tutti poggiano sul letto vari regali: pentole e coperchi di rame, bicchieri, tazze, zucchero e caffè, bottiglie di liquore. Mentre “cumpa Nicola” suona una tarantella con “’u mandacettu”, Rinuccia “gira li cumpliminti” .
Intanto qualcuno bussa alla porta, che è aperta. C’è qualcuno che chiede il permesso di entrare. Minicuccia esce e si trova faccia a faccia con Cicchina, la vicina di casa. Dopo un primo momento di silenzio, è Cicchina a parlare per prima: “M’haia pirdunà, t’aggiu sempi fattu li chiuvi” . Minicuccia la invita ad entrare. Dopo aver salutato mamma Filuccia, si avvicina al letto e vi posa un quadretto con l’effigie della Madonna. Rinuccia bisbiglia alle orecchie di Pietro: “cu cchiù capisce finge’”.
La mattina del quindici settembre, all’alba, sono tutti svegli. Un lungo tavolo, preparato con assi di legno poggiati su cavalletti, è apparecchiato sotto il pergolato poco distante dalla casa. Vicini e parenti hanno portato le sedie. Sono stati ammazzati un vitello ed una pecora. Il giorno prima, Filuccia ha cucinato tutto il giorno, aiutata dalle figlie e da sorelle e cognate.
La giornata è splendida: non una nuvola nel cielo terso e limpido.
Gli invitati sono tutti pronti davanti alla casa.
Quando la sposa compare sulla soglia, tutti battono le mani e le buttano il riso.
E’ veramente bella Minicuccia! L’abito, color crema, è aderente nel corpino mentre dalla vita scende svasato. Lo scollo e il bordo della gonna sono orlati con un merletto di tulle dalla tonalità poco più accesa. Un fazzoletto dello stesso tulle orna il viso e si poggia sulle spalle. Le scarpe, dei sandali con un piccolo e comodo tacco, sono dello stesso colore del vestito.
Minicuccia si avvicina ai genitori, si inginocchia e chiede loro scusa per non essere stata sempre una brava figlia. Filuccia le mette una mano in testa e dice: “Figlia mia, ti binidicu pi quanti stiddi di latte t’aggiu datu” . Poi tocca a papà Pascale che, commosso, aggiunge: “Ti binidicu, da dui cori ni avita fa unu”.
Quando s’incamminano verso il paese, il sole non è ancora sorto.
Davanti alla chiesa di San Nicola sono in attesa amici e parenti dello sposo, che aspetta, insieme alla mamma, ai piedi dell’altare.
La cerimonia si svolge in maniera semplice e breve.
Sono venuti anche gli amici del paese che, involontariamente, hanno determinato la conoscenza dei due giovani sposi. Anche loro si uniscono al gruppo nel viaggio di ritorno a Mazzaredda.
Ormai il sole è alto nel cielo e fa caldo. Pietro e Minicuccia s’incamminano tenendosi per mano, tutti gli altri li seguono. “Cumpa Nicola” suona l’organetto, qualcuno canta, altri chiacchierano allegramente, creando un clima di festa e di cordiale condivisione. Dopo la lunga camminata, sono tutti affamati e non vedono l’ora di assaporare le gustose pietanze preparate il giorno prima, alle quali stanno dando l’ultimo tocco le sorelle di Filuccia.
Agli sposi è riservato il posto d’onore, a capotavola, vicino ai genitori.
Finalmente si mangia! S’inizia con la minestra, poi seguono la carne bollita e la pasta asciutta. Dopo una breve pausa, vengono portati in tavola dei grandi piatti contenenti vari tipi di carne, insaporiti con vari aromi e cotti nel forno a legna. Non mancano formaggi, salami e prosciutto. Tutto innaffiato con ottimo vino. Verso sera, quando “cumpa Nicola” riprende a suonare, si offrono “viscuttini e pizzitti”.
E’ sera. Nell’aia, si aprono le danze. Il divertimento è al massimo quando si balla la “quadriglia”, che coinvolge giovani, anziani e bambini. Tutti si divertono, dimenticando i problemi quotidiani. Ognuno sa che il giorno dopo, “passatu ‘u santu, passata ‘a festa”, si ritornerà alla solita vita, non certo priva di preoccupazioni e sacrifici.
Nell’euforia del ballo, nessuno si accorge di una coppia nascosta dietro un covone di paglia: sono Cicchina e Duminicu. Il giovane, un trentenne, è un cugino di Pietro, tornato da poco dal Nord dove lavora come minatore.
A mezzanotte Pietro e Minicuccia, dopo aver salutato amici e parenti, si avviano verso la loro casa. Intanto alcuni giovani, tra cui “cumpa Nicola”, organizzano la serenata da portare agli sposi: si stabilisce a che ora andare e si scelgono musiche e canti.
Dopo il gran frastuono di voci, di musica e di canti, il silenzio è disceso nella contrada Mazzaredda. Tutti dormono, ad eccezione di un gruppetto di giovani che, silenziosamente, s’incamminano verso la casa degli sposi. Dentro è tutto buio. Ad un cenno di “cumpa Nicola”, tutti insieme si mettono a cantare, accompagnati dal suono del “mandacettu”. Qualcuno raccoglie alcune pietruzze e le lancia contro i vetri delle finestre. Dopo vari minuti, si intravede una flebile luce filtrare dalla porta, poi appare Pietro che, sorridendo, saluta agitando una mano. Dietro di lui, avvolta in un lungo scialle, c’è Minicuccia, anche lei sorridente, ma con la testa china, in un atteggiamento di imbarazzo e di timidezza.
La più esuberante è Cicchina, felicissima per la recente conquista. Duminicu le piace, le ha fatto “a dichiarazione”, finalmente anche lei può sposarsi e non essere più considerata “ ‘na zitella”.
L’allegra comitiva entra in casa, cantando e ballando. Pietro stacca dalle travi “ ‘na zozicchia e ‘na supersata”, prende i bicchieri e una bottiglia di vino. Tutti si servono, mangiando di gusto, proprio come “si nun avissiru mai vistu grazia i Diu!” “Cumpa Nicola” posa “u mandacettu” e, alzando in alto il bicchiere, dice a voce alta:
A ricordu di sta bella jurnata
nun putia mancà a s’rinata.
Brindamu picchì qua ana regnà
salute, abbundanza e filicità.
Diu v’adda mannà tanta fortuna
quanti stelli su ‘ngilu e rina a mare.
Oi zita oi zita, hai truvatu nu bellu maritu,
cu nu pocu di attenziune
l’annu ca veni nu bellu vagnunu
Sono tutti un po’ troppo allegri a causa del vino bevuto in gran quantità. E’ quasi l’alba quando si decide di andare via.
Finalmente, dopo una lunga giornata, Pietro e Minicuccia rimangono soli. Sono stanchi, ma felici.
(CONTINUA…)