Di Lavinia Alagia
EDITORIALE – L’assenza costante di una persona porta a dimenticarne anche la sua voce, per questo ora racconterò la tua storia, ma con la mia.
Di storie di anime se ne conoscono tante.
Storie sussurrate all’orecchio, tramandate a fil di voce da genitori a figli, da figli a nipoti.
Ne parlava persino Platone nel suo simposio di queste esistenze incomplete.
Anime legate da un filo rosso invisibile destinate a vagare in mille universi per tutta la vita.
Cuori che, se mai dovessero intravedersi a filo d’occhio, scapperebbero, si nasconderebbero e tornerebbero nello stesso tormento di sempre. Questa volta, però, consapevoli e rassegnati nella ricerca di un opposto e nella speranza di potersi sentire minimamente completi.
Avete presente quella sensazione di appartenenza che si prova osservando la propria casa? Quelle quattro mura e un tetto che ci cullano sin dalla nascita. Quel luogo che possiamo amare intensamente oppure detestare fino a cercare di scapparne, ma che ci riporta sempre e comunque ad un profondo senso di appartenenza.
Infatti, la connessione con gli oggetti e le persone a noi care è una cosa che sentiamo sin da bambini, quando preferivamo stare tra le braccia della zia rispetto a quelle del nonno, e persino quando per la prima volta ci davano un ciuccio diverso da quello abituale e come prima cosa lo sputavamo.
Ma finché ci riferiamo a cullette e bebè è tutto normale, fondamentalmente parliamo di abitudini e legami di sangue.
Ma quando arriviamo a discutere di connessioni insolite con cose, luoghi e persone a noi sconosciute, allora è lì che il gioco si fa bello.
Parlo, più che di una sensazione, di un brivido.
Quella pelle d’oca che senti fitta quando passi davanti a qualcosa di familiare, oppure, quando VEDI per la prima volta qualcuno di familiare.
E per vedere non intendo di certo incontrare per la prima volta, bensì sapere, aver sentito e ripetuto ma che da un giorno all’altro osservi per qualche millesimo di secondo in più e realizzi quella sensazione quasi immaginaria che mai eri riuscito a ricondurre da dove provenisse e soprattutto mai riuscito a capire cosa significasse.
È una cosa insolita sapete, osservare per la prima volta una persona e sentire di sapere già tutto di lei. Come porta i capelli, cosa gli piace mangiare, cosa pensa la notte prima di andare a dormire. Osservarla e riconoscere il proprio riflesso, ma in forma diversa.
Ed è a quel punto che emerge il bisogno, non solo mentale ma anche fisico, di doverla conoscere, studiare fino a comprendere se si tratta realmente del nostro riflesso.
Perché se in fondo fosse realmente, anche in minima parte, uguale a me, allora forse potremmo guarirci a vicenda.
Ma è proprio a quel punto, nel momento in cui ci vediamo riflessi, che scatta la paura.
La paura di noi stessi,
di vederci,
di comprenderci.
Perché poi, sapete, di amori ne esistono tanti.
Amori tangibili, che lasciano il segno delle unghie sulla carne.
Amori gassosi, che fluttuano leggeri nell’aria e rimangono sulle persone come un profumo, che delizia l’attimo e maledice il tempo che passa, svanendo.
E poi l’amore vero e l’amore giusto.
L’uno strettamente connesso all’altro.
Ti prendono, ti coinvolgono, ti devastano.
Ma ci sarà sempre differenza tra di loro.
Perché si, l’amore giusto è quello bello, quello semplice, fatto di tante parole.
Ma è l’amore vero che dura tutta la vita basandosi su uno sguardo.
Gli Yamana usano la parola Mamihlapinatapai, ‘guardarsi reciprocamente negli occhi sperando che l’altra persona faccia qualcosa che entrambi desiderano ardentemente, ma che nessuno ha il coraggio di fare per primo’.
Quell’amore astratto che ti porta ad appartenersi senza poter esserci, inseguirsi nonostante non si possa rincorrersi, o rincorrersi così tanto da perdere il fiato e soffocare le grida sapendo che non importa quanto veloce e lontano tu possa correre, perché puoi viaggiare anche alla velocità della luce, ma diventa inutile se vuoi raggiungere il fondale di un oceano, diventa inutile correre così tanto se l’altra persona è su un’altra strada.
Sono destinate a toccarsi senza sfiorarsi e a far tremare i cuori semplicemente guardandosi.
La loro condanna è essere destinate ad esistere ma mai ad essere.
Ed allora è lì che si ci perde, non essendosi mai appartenuti.
Perché poi si crede che sia un concetto di tira e molla, dove il problema è nel molla e non nel tira.
Dove non si riesce mai ad abbandonare l’idea di un qualcosa di passato.
Invece qui è tutto l’opposto.
Un continuo mollare e lasciare andare per paura che tirando si possa raggiungere il vero scopo.
La vera pace.
Che poi questa non è un po’ la condanna della specie umana?
La paura del benessere.
Quel costante bisogno di sentirsi quasi in agonia ed avvolti dal caos.
Il rifiuto del silenzio.
Forse perché appare come una cosa scontata ma che fondamentalmente l’umanità non ha mai provato un po’ per scelta.
Per non attraversare l’ignoto,
Fingendo di cercare sempre oltre gli schemi quando forse è tutto così vicino da non rendersene conto.
Così vicino da essere se stessi.
Perché il concetto alla base di queste anime è proprio questo.
Essere l’uno la parte uguale e complementare dell’altro senza mai incontrarsi.
‘’Io sono il centro della circonferenza da cui tutti i punti sono equidistanti, ma tu non lo sei’’, disse Amore a Dante, facendogli capire che è l’amore il centro di se stesso.
Non puoi delegare la tua felicità ad un qualcosa di esterno o mutevole.
Perché l’amore e la bellezza dell’amore stanno nel provare l’amore stesso.
È questa la fine di tutto.
Il sentimento penetrante alla base di qualsiasi cosa.
Che poi chissà, la vita è fatta di ritorni e magari esiste un universo in cui davvero queste metà si incontrano.
Forse presentandosi come Alula, colei che ricorda, e Koahu, colui che dimentica. Pensando a tutte le vite in cui sarebbero voluti essere amanti e provando ad affrontare la successiva con tutto il coraggio che non hanno avuto nelle precedenti.
Amandosi come la conchiglia ama il mare, accostando l’orecchio alle loro bocche si poteva ascoltare il suono della loro canzone; come la sabbia ama l’acqua, sempre pronta ad accoglierla come un fremito muto; come il tuono squarcia la notte, come la farfalla che accarezza il fiore e come la luna che insegue il suo sole.
Ma in fondo chi lo sa…
Alla fine questa, è una storia di due anime come le altre.