EDITORIALE – Era buona Catarinuccia! Tutti le volevano bene.
Nel vicinato, in via Casaletto, tutti la chiamavano Catarinuccia forse perché era piccola di statura, cicciottella, con un viso tondo e paffuto illuminato da due piccoli occhi chiari. Si muoveva piano, a piccoli passi, con i suoi zoccoli di legno, forse per non fare rumore e non disturbare i vicini di casa.
Eravamo dirimpettai: ci divideva una stradina larga pochi metri che attraversava tutto il vicolo. Ricordo la sua abitazione: una scala stretta e ripida introduceva in un unico ampio locale, che era tutto il suo mondo! Accanto al balcone vi era il camino con il banco della cucina e, in fondo, un grande letto in ferro battuto, molto alto, con una coperta decorata con grandi fiori variopinti. Entrando, sulla parete di fronte all’ingresso, era appesa una piattaia che conteneva pentole, padelle e coperchi. Tra la cenere del misero fuocherello sostava sempre una pignatta contenente acqua e, qualche volta, ceci o fagioli.
Spesso la mia mamma, all’ora di pranzo, mi metteva tra le mani il piatto con una pietanza calda e mi diceva:
“Vai a portarlo a Catarinuccia”.
Lei mi accoglieva con un sorriso e ripeteva numerose volte grazie…grazie…grazie!
Il giorno di Natale, i vicini di casa, a turno, la invitavano a pranzo. La ricordo seduta a tavola tra noi bambini, con gli occhi lucidi di lacrime mentre recitavamo la poesia di Natale e leggevamo la letterina scritta a scuola per i genitori.
Durante le lunghe serate invernali con le mie sorelle andavamo spesso a farle compagnia. La trovavamo seduta accanto al fuoco, intirizzita dal freddo, avvolta in uno scialle di lana e con la corona del rosario tra le mani. Ci accoglieva con gioia, invitandoci a sedere accanto al camino. Le piaceva raccontarci la storia della sua vita di stenti, di privazioni e di sacrifici, che noi ascoltavamo con attenzione e grande partecipazione.
Catarinuccia era la penultima di dieci figli. La sua famiglia era poverissima, appena riusciva a sopravvivere. Abitavano in campagna. Il loro unico sostentamento proveniva dall’agricoltura e dall’allevamento del maiale e di galline. La sua mamma trascorreva intere giornate nell’orto per coltivare i prodotti necessari per sfamare tante bocche, mentre il papà rimaneva l’intera mattinata a letto per smaltire le conseguenze della sbornia di vino della sera precedente.
Era difficile non commuoverci quando Catarinuccia ci parlava dei momenti di terrore che viveva la famiglia al rientro del papà ubriaco. Lei e i suoi fratelli si nascondevano in un ripostiglio, chiudendosi a chiave. Da lì, terrorizzati, ascoltavano le urla e i pianti della mamma che cercava di difendersi dalle botte e dalle minacce del marito. Fu quasi una liberazione quando il papà morì per una cirrosi fulminante, conseguenza della sua vita dissoluta.
I fratelli e le sorelle di Catarinuccia si sposarono. Lei rimase nella casa paterna e accudì la mamma che, sfinita dopo una vita di stenti e di sacrifici, colpita da emorragia cerebrale, trascorse molti anni immobile in una sedie a rotelle.
Deceduta la mamma, un lontano parente le permise di venire in paese, mettendole a disposizione una sua casetta nel vicolo Casaletto.
Ospitava, spesso, parenti e amici che venivano in paese per disbrigare le loro faccende e che, per ricompensarla della sua ospitalità, le portavano in dono vari prodotti alimentari, che custodiva in una cassapanca accanto al camino.
A quei tempi non c’erano pensioni sociali di vecchiaia: esisteva la vera miseria!
Il parente che la ospitava nella sua casa spesso veniva a trovarla. La sua voce tonante si diffondeva in tutto il vicinato. Per Catarinuccia era una persona di riferimento importante, alla quale si rivolgeva per qualsiasi problema.
Una sera mi trovai ad ascoltare, non vista, una storia, riguardante Catarinuccia, che un nostro vicino di casa raccontava ai miei genitori.
Una ringhiera separava la sua casa da quella di Catarinuccia. Era estate, i balconi erano aperti, e lui si godeva la fresca brezza della notte. Nel silenzio, all’improvviso, udì dei bisbigli: una voce maschile che ben conosceva, con toni pacati e suadenti, sussurrava dolci e tenere parole, che avevano lo scopo di convincere e di tranquillizzare. Catarinuccia sospirava e piangeva…Dopo attimi di silenzio, il vicino di casa sentì un tonfo: erano gli zoccoli di Catarinuccia che caddero sul pavimento.
Ero piccola e…non compresi! Ma, crescendo, quella storia ritornò nella mia mente e mi commossi, pensando alla dolce e tenera Catarinuccia, sempre triste e sempre alla ricerca di comprensione e di affetto!