#TellMeRock, i 36 anni di Liberi Liberi. La maturità di Vasco Rossi e il veloce passo della storia

EDITORIALE – Ricordo che Fronte del Palco l’ho letteralmente divorato. Il primo live di Vasco Rossi, un doppio cd registrato durante il Blasco Tour del 1989, precisamente nelle date dei concerti del 18 e 19 giugno tenutesi all’arena civica di Milano. Il titolo trae ispirazione dal titolo del film Fronte del porto con Marlon Brando. Un disco che contiene la sintesi più pura, intima e rock del Vasco nazionale, in un tour grandioso che portò il pubblico italiano a conoscere meglio il capolavoro Liberi Liberi, pubblicato l’8 aprile di 36 anni fa. Un tour che portò Vasco anche alla storica data di Praia a Mare del 17 agosto 1989.

La tournée che portò poi Vasco a vivere la leggendaria notte di San Siro del 10 luglio 1990, nella quale il rocker metteva piede per la prima volta a San Siro, luogo che poi sarebbe diventato casa per lui. Sul palco nella “Scala del rock” Vasco nella sua carriera è salito 29 volte (in più occasioni nello stesso tour), sino al 12 giugno 2019, ultima di cinque date consecutive. 

Vasco ricordò l’anniversario su Instagram come una data epocale, lui in quel luogo portò 80.000 persone (in quell’anno si inaugurò, in occasione di Italia ’90 il terzo anello di San Siro) a fronte di una crisi di spettatori nei concerti delle star mondiali come Madonna e Rolling Stones che non riuscirono a riempire gli stadi. 

“La Notte”, un quotidiano popolare dell’epoca che veniva distribuito nel pomeriggio, titolò (a caratteri cubitali) “Vasco Rossi ha ucciso Madonna” sottolineando la differenza tra i numeri per i live della star americana (la “scandalosa” star americana all’Olimpico) e quelli del nostrano Rossi a suo evidente vantaggio.

Dopo i fasti del precedente C’è Chi Dice No, in cui era riuscito a fondere perfettamente rigurgiti da rocker puro e disincanto da maturo cantautore, Vasco chiude il decennio con un album che potrebbe sembrare ad un primo ascolto senza infamia e senza lode. Non inventa nulla, non rivoluziona nulla, né a livello di arrangiamenti né di songwriting.

Gli eighties non li chiude col botto, non li mette a ferro e fuoco come aveva fatto con i seventies. Piuttosto li prolunga, li porta alle estreme conseguenze, forse li annacqua pure un po’. Mantiene questa formula, praticata e vincente, di pezzi ancora rock e balladone introspettive con cui ci aveva incantati nell’album precedente. Solo che in Liberi Liberi la malinconia, le disillusioni, infine la rassegnazione, sono molto più marcate, perfetta chiusura di un’epoca/decennio che ci aveva illusoriamente coccolati con la sua superficie dorata di divertimento sfrenato nel tentativo di consolare amori finiti, mode che ormai sarebbero risultate superate e una nuova fase politica di scandali che avrebbero portato alla fine dei fasti della “Prima Repubblica”.

E lo sa bene Vasco che ha cercato di cavalcarli, uscendone però con gli occhi lucidi e una rabbia residua da trasformare ancora in rock’n’roll. Liberi Liberi è lunico album nella carriera del cantante a non avere il contributo di Guido Elmi, il suo storico produttore, e senza la Steve Rogers Band al completo (presenti solo Maurizio Solieri e Claudio Golinelli in un brano), la quale si è separata dal cantante in cerca di un’affermazione come gruppo indipendente prodotta proprio da Elmi.

Questo disco è un testamento, è un fare il punto sullo stato dell’arte e della società. Una summa. La title track è l’emblema del disincanto e di ogni sogno infranto. Ballad magnifica, portata avanti da un languido sax che rende tangibile l’atmosfera. Quando poi cresce tutto culminando nel mitico ritornello “Liberi liberi siamo noi, ma poi liberi da che cosa..” sentiamo un tuffo al cuore, percepiamo tutta la fatica che fanno per restare a galla gli eterni sognatori. E quelle domande retoriche “Cosa diventò? Cosa diventò? Quella voglia che non c’è più..” Tante stilettate al cuore che incitano la nostra rabbia latente portandoci, per un attimo, a credere che la rivoluzione sia ancora possibile. Ma è solo un’illusione, dalla rassegnazione dell’età adulta non se ne esce. E le chitarre con gli assoli suggellano questa mesta consapevolezza.

L’altro grande lento dell’album è Dillo Alla Luna. Brano dolente e bellissimo. L’amore deluso viene cantato con delle liriche dolci ed arrabbiate. Il Vasco romantico, ma non più ingenuo. Si veste di una dolcezza nuova che vuole solo la verità. Ha ormai le spalle quadrate per sostenere il peso del fallimento, e può sempre dare la colpa alla luna. L’intro di chitarra è un magnifico arpeggio che ci conduce nel vivo del pezzo, scandendo tutta la sua fragilità e la sua forza. Poi entrano le tastiere, mentre la batteria scandisce il ritmo in questo incedere verso il ritornello. “Guardami in faccia quando mi parli, se sei sincera!” Qui esplode tutto, in un grido che poi diventa quasi un lamento, un pianto, accompagnato dal sax e dalla batteria che mai come in questo brano sono fisici e un tutt’uno con la voce. Roba che all’ascolto ci farà tremare, sempre. I brani rock dell’album sono in realtà pop rock.

Di quello fatto bene, che funziona, con arrangiamenti accattivanti e slogan facili da urlare, funzionali al format del concertone di Vasco. Ed il successivo live album e già sopra citato Fronte Del Palco, ne farà man bassa. Il rocker sa bene che, accanto allo zoccolo duro dei fan della prima ora, c’è un nucleo di neofiti da conquistare con un mix di sound del momento e tematiche easy. Non più i ragazzi fatti a pezzi dalla loro coscienza politica in cerca di qualche paradiso (musicale) artificiale. Bensì ragazzini che semplicemente vogliono divertirsi, sotto la spinta dell’età e dell’epoca edonistica in cui sono nati. E che ai concerti ci vanno per prendere parte ad un eccitante rituale di massa, e sempre meno per amore della Musica. Tendenze che poi si esaspereranno negli anni ’90. Per cui trova posto in questo album una manciata di brani tiepidamente irriverenti, con arrangiamenti godibilissimi. Belli energici, ci immaginiamo a gridarli sotto un palco, infuocati da qualcosa che somiglia alla ribellione senza, ahimè, esserlo.

Domenica LunaticaOrmai È TardiVivere Senza Te…Muoviti!“Stasera!”, sono pezzi sostanzialmente omogenei fra loro. Temi vari riconducibili alla solita tenue irriverenza, e insofferenza, che sia nei confronti di un amico, di una donna, di una situazione, di un’imposizione sociale. Tutti suonati benissimo, con il sax che si contende con le chitarre il ruolo di protagonista.

Vivere senza te fu scritta per l’amico e bodyguard Danilo D’Alessandro conosciuto da tutti con il nome di “Roccia”, che l’aveva abbandonato per scappare a Roma, da una ragazza che si era perdutamente innamorato.

Una menzione a parte merita invece Tango… (Della Gelosia). Interessante esempio di trasposizione di una forma musicale popolare, il tango, in una canzone pop (rock). Sound e ritmo gypsy colorano un testo semplice ma incisivo. Un brano che esula da tutto il resto. Forse un tributo di Vasco alle radici della musica popolare. Forse una sua necessità di fermarsi e riflettere e pensare al passato. Come un adulto che continua a fare musica rock per non deludere la schiera dei suoi fan (storici e giovani) ma che forse ritiene che un ciclo sia finito e che, magari, vorrebbe fare altro.

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