#TellMeRock, 14 Aprile 1997: Ultra: l’Araba Fenice dei Depeche Mode

EDITORIALE – Il 1997 fu un anno decisivo per i Depeche Mode: orfani di un Alan Wilder dedicatosi per intero ai suoi Recoil e con un Dave Gahan in fase di recupero dopo l’overdose e i tentativi di suicidio, il gruppo riesce finalmente a dare alle stampe Ultra, dopo tre anni in cui di tutto si era parlato, fuorché di musica.

La band infatti a fine anni novanta era sul bordo dell’abisso. Il The Devotional Tour aveva portato la band alla sua distruzione, ormai divisi e con i loro rapporti al di fuori dei concerti che non esistono

Ultra, pubblicato il 14 aprile del 1997, diventa cosi un album attesissimo che avrebbe segnato definitivamente il futuro della gloriosa band, e lo fece assolutamente in positivo. Inaspettatamente, perché molti erano quelli che non credevano più nei Depeche Mode, soprattutto in un Dave che a detta di molti «si era fatto prendere la mano dal successo». Eppure se la band da allora ha iniziato una seconda giovinezza è anche merito suo, della sua forza di volontà.


Ricordo ancora il primo video tratto dal disco: Barrel of a Gun, una canzone totalmente diversa da quanto fatto finora, coi Depeche Mode che sembravano prendere ispirazione dai Nine Inch Nails del capolavoro The Downward Spiral, coadiuvata da un claustrofobico e inquietante video in bianco e nero con un Dave Gahan a dir poco allucinato, ma in forma. Sì, in forma, così come Martin Gore e Andy Fletcher. «Do you mean this horny creep…» furono le prime parole di Dave appena risvegliatosi dal coma che seguì il suo ennesimo tentative di togliersi la vita, e sono proprio esse ad aprire questa nerissima song. Ma il leader c’è, è ancora lì, “pulito” come si suol dire in questi casi e in fase di definitiva guarigione. Meno male.


Le atmosfere di Ultra sono paragonabili a quelle di una grande metropoli a notte fonda: desolate, a tratti inquietanti, ma comunque piene di fascino. Il gruppo è perfettamente riuscito a mettere in musica il proprio periodo buio. Pezzi come The Love Thieves, Freestate, Useless – ultimo singolo in ordine cronologico tratto dall’album, un amaro pezzo rock caratterizzato da ottime chitarre distorte – o le strumentali Uselink e The Jazz Thieves sono quelli che rendono al meglio questa atmosfera, ma non c’è “solo” questo in Ultra.

L’album infatti presenta momenti volutamente ironici, la divertente It’s No Good, secondo singlolo dell’album, è un pezzo quasi dance accompagnato da uno dei video più kitsch che abbia mai visto (la tenuta glam di Dave e le sue espressioni mi fanno tuttora ridere di gusto al solo pensiero). Ma il brano, uno dei più iconici dei Depeche anni ’90, è di una fattura meravigliosa e coinvolgente, con un pathos crescente di armonia e atmosfera.

Ma ci sono anche momenti romantici, con la struggente e orchestrale Home (terzo singolo estratto, cantato da Martin Gore) o la più malinconica e minimale Sister Of Night, in cui la voce di Dave, delicata come non mai, si contrappone a stucchevoli distrorsioni elettroniche.


E poi, la fine. Se The Bottom Line è l’ultima ora della notte, Insight è la prima luce dell’alba, una sincera introspezione che sancisce definitivamente l’uscita dal tunnel, un autentico brano di speranza.

Chiude Junior Painkiller, breve traccia fantasma strumentale che mantiene l’alone oscuro che ha pervaso il resto dell’album.


Per il resto c’è molto da dire su“Ultra: con questo undicesimo capitolo, i Depeche Mode sono stati capaci di un ritorno sensazionale che ha spiazzato pubblico e critica, come si suol dire in questi casi. Tutta la band si è impegnata al massimo regalando ai propri supporters un altro capolavoro, cambiando pelle ancora una volta e riprendendosi il tempo perso: l’anno successivo sarà la volta della raccolta The Singles 1986-98 e di un tour mondiale di enorme successo, in cui il pubblico ha potuto ammirare un Dave Gahan capace di portare a termine l’esibizione e addirittura migliorato come stile vocale. Per non parlare dei tributi fioccati qua e là da parte di band che coi DM parevano proprio non aver nulla di che spartire: provate a sentire il tribute album For the Masses e capirete ciò che intendo!


Insomma, un album del ritorno che è paradossalmente diventato l’album della definitiva consacrazione della band. C’è da dire solo un’ultima cosa: Ultra ha nettamente diviso i supporter della band, fra chi lo ritiene drasticamente inferiore ai due monumentali predecessori Violator e Songs of Faith and Devotion, lamentando la dipartita di Alan Wilder, e chi lo ritiene un capolavoro assoluto, semplicemente diverso dai predecessori.

Nel mio piccolo mi metto fra i membri della seconda fazione, so benissimo che dovrei cercare di essere più imparziale possibile ma trovo Ultra un album riuscito sotto ogni aspetto ad opera di un gruppo che è sempre riuscito a cambiare con coerenza album dopo album, virtù che ben pochi possono vantarsi di avere. Certo Violator, Music For The Masses e gli anni ’80 restano inarrivabili per tanti versi, ma questa “Araba Fenice” dei Depeche è importante per molti versi, non solo musicali. Anche ventotto anni dopo.
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